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Messina Denaro, lo sfogo del procuratore che lo ha catturato

Filippo Facci
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Ecco la prima cosa che gli studenti del Gonzaga hanno imparato, a margine del loro incontro col Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia: gli adulti, specie se importanti, non nominano mai le persone di cui parlano. Così, ieri, quando uno studente gli ha chiesto un commento sulle dichiarazioni di Salvatore Baiardo – il fiancheggiatore dei boss Graviano, quello che su La7 parlò di un Messina Denaro ammalato e prossimo alla cattura – De Lucia ha risposto: «C’è una grande differenza tra il mondo in cui succedono le cose e quello in cui si dice che potrebbero succedere: io parlo del primo. So come è andata, conosco le indagini e non parlo di un signore che è stato condannato anni fa per favoreggiamento di mafiosi e che circola in alcune tv».

 


Ecco, De Lucia, non ne parla, ma nei fatti ne ha parlato, e la cosa finisce sui giornali: «Che il latitante fosse malato lo si diceva», ha aggiunto, «e io so quando è stato arrestato e come si è arrivati a questo grande risultato: al momento opportuno, visto che ci sono indagini, si potrà dire di più». Anche qui: De Lucia non ha nominato Salvatore Baiardo, non ha nominato chi ci ha speculato, non ha nominato neppure Matteo Messina Denaro: ma ha parlato esplicitamente di loro. Gli studenti del Gonzaga potranno approfondire che l’abitudine di evocare qualcuno, senza nominarlo, è maggiormente diffusa nel sud e nell’oriente del Mondo.


È anche vero che c’era troppa gente da nominare, a proposito del gelataio di Omegna – Baiardo – che ha ottenuto quasi più spazio mediatico dei servitori dello Stato che si sono rotti la schiena per la cattura Messina Denaro. Difficile che De Lucia si riferisse ai giornalisti: siano essi Massimo Giletti – che si è limitato a intervistare Baiardo, pur marciandoci un po’ – a gente in cattiva Fede come Marco Travaglio o Saverio Lodato o, se è un giornalista, Roberto Saviano – si parla di gente passata in tv – sino a specialisti come Lirio Abbate che, almeno, sa di che parla.


NON AI GIORNALISTI
Facile, invece, che il procuratore De Lucia si sia invece riferito all’antimafia dietrologico-vittimistica dei vari magistrati alla Nino Di Matteo (che pure ha fallito i primi processi Borsellino e il procedimento sulla «trattativa») e dell’ex procuratore Roberto Scarpinato, neo senatore grillino che sul tema mafia & politica ha costruito istruttorie complicatissime ma ha portato a casa davvero poco. Sì, facile che De Lucia parlasse di loro, o anche di loro: «C’è gente che non fa indagini da dieci anni e che viene a dirci come si fanno, questo è un Paese strano: un minuto dopo l’arresto già c’erano i murmurii», intesi come voci, e «non c’è stato neanche il tempo di festeggiare un successo per lo Stato che già erano iniziate le dietrologie».

 

 


Le domande comunque erano più chiare delle risposte, perché gli studenti sono più ingenui e puri, anche se il Gonzaga di Palermo è una scuola che forma le future classi dirigenti isolane (l’auditorium era pieno, e parliamo di uno degli istituti più esclusivi di Palermo) e proprio del rapporto tra la buona borghesia e la mafia è stato chiesto conto al procuratore: c’è qualcuno – domanda – che è stato al fianco di Messina Denaro e gli ha consentito per 30 anni di sfuggire alla cattura? Risposta: «È una fetta della società compiacente con Cosa nostra, persone che hanno studiato e che si sono laureate, ma che cercano un dialogo con la mafia per assicurarsi vantaggi economici e non solo». Chiaro. Chiaro, pure, che nel parlare di «persone che hanno studiato e che si sono laureate» abbia teso a escludere gli elettori dei Cinque Stelle. Per il resto non c’è niente che De Lucia non avesse già detto: sull’utilità delle intercettazioni (che, in tema di mafia, nessuno aveva mai messo in dubbio) e persino sul regime di carcerazione 41-bis che è improvvisamente tornato all’attenzione popolare.

Ma soprattutto: «Un punto di svolta per arrivare alla cattura di Messina Denaro c’è stato quando sono state captate alcune conversazioni in cui si faceva riferimento a una possibile malattia del latitante»: e questo stava a dire che le voci di popolo potevano anche aver sussurrato che il boss fosse malato, ma individuarlo e catturarlo, poi, è stata tutt’altra cosa. Infine il procuratore De Lucia ha espresso un concetto che riportiamo testuale, da prendere e portare a casa: «Non c'è un momento in cui questo Paese riesce a stare unito e a festeggiare i successi... Le trasmissioni hanno riguardato profili dietrologici o la vita privata della persona, sono stati diffusi particolari irrilevanti come le eventuali amanti o i farmaci utilizzati, ma anche l’ultimo criminale ha diritto alla propria dignità: mettere in piazza queste cose, che contributo ha dato al servizio che l'informazione dovrebbe fare? Ci hanno fatto vedere dal buco della serratura». 

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