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Intercettato illegalmente 500 volte? La Fnsi muta di fronte al sopruso

Pietro Senaldi
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C’è un allarme bavaglio al contrario. Manca e andrebbe messo. Non ai giornalisti, che hanno poco e screditato potere, bensì alle Procure, che ne hanno tanto, ne abusano e, dispensando intercettazioni sottobanco, utilizzano scribacchini a riporto come cassa di risonanza delle loro inchieste, in modo da avviare contro gli indagati un processo mediatico che orienti l’opinione pubblica prima che inizi quello in tribunale. Un metodo rodato che non guarda in faccia a nessuno e ormai non fa neppure più distinzione tra indagati di destra odi sinistra. Quanto accaduto a Stefano Esposito, ex parlamentare del Pd, è emblematico.

Il fu senatore ha un amico fraterno imprenditore a cui i pm mettono il telefono sotto controllo perché sospettano sia uomo della ‘ndrangheta per gli appalti. Tra il 2015 e il 2018, quando l’esponente dem era a Palazzo Madama, i magistrati intercettano così 500 telefonate tra i due amici, violando la Costituzione che li obbligherebbe a ottenere il permesso del Parlamento per spiare le conversazioni di un eletto. I pm non lo fanno e procedono nell’ombra, concludendo le indagini con un rinvio a giudizio di Esposito per turbativa d’asta, corruzione e traffico d’influenze. Una vita e una carriera distrutte sulla base di intercettazioni illegali e incostituzionali in una delle quali l’allora senatore consigliava all’amico un avvocato con cui opporsi a un interdittiva antimafia e sulla base di un prestito di 150mila euro concesso anni prima dall’imprenditore al politico e da questi restituito.

Ora la Corte Costituzionale è intervenuta a mettere ordine: telefonate cancellate e annullamento del rinvio a giudizio. Si aspetta l’azione disciplinare dei magistrati nei confronti dei colleghi che hanno intercettato senza permesso il senatore e la loro punizione esemplare da parte del Csm. Gradita sarebbe anche un’iniziativa di rilievo mediatico da parte della Fnsi, il sindacato dei giornalisti che ha annunciato il boicottaggio della conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio per protestare contro la legge, proposta da un parlamentare della sinistra, che vieta la pubblicazione dell’integrale delle intercettazioni prima del rinvio a giudizio degli ascoltati.

Nell’impossibilità di sabotare l’evento, slittato causa malessere della premier, gli indomiti cavalieri dell’informazione hanno inscenato una pagliacciata con tanto di bavaglio davanti a Montecitorio. Malgrado il provato anti-fascismo dei partecipanti alla mascherata, non ci illudiamo che a essa segua un sit-in contro le Procure e in difesa della Costituzione e dei diritti degli eletti, come Esposito perché sappiamo che ad alcuni colleghi non preme la libertà di stampa ma solo quella di sputtanare chi finisce nel mirino delle Procure, senza chiedersi se i brogliacci che vengono loro messi a disposizione per cecchinare gli indagati siano pertinenti alle accuse, abbiano rilevanza pubblica o nascondano secondi fini. Per la verità è fin troppo parlare di libertà di sputtanare. Sarebbe più proprio dire che i nostri sindacalisti attaccano la Meloni perché è di destra, fregandosene del fatto che la legge arriva dall’area Calenda, e difendono la pratica servile di certi giornali di farsi buca delle lettere e cassa di risonanza delle Procure prendendo a pretesto il diritto di cronaca. Ovviamente lo fanno scientemente, perché incapaci di distinguere tra giornalismo e politica militante o perché militanti prima che giornalisti.

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