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Marcello Degni, i tweet pro-M5s della toghe che giudicherà il collega che insulta il governo

Tommaso Montesano
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Mettiamola così: storie come questa non aiutano a credere di più nell’imparzialità della magistratura. Non bastava l’accusato, il consigliere della Corte dei Conti Marcello Degni, con i suoi tweet da militante di estrema sinistra che elogia Toni Negri e auspica il dissesto finanziario dell’Italia pur di colpire il governo in carica di centrodestra.

Adesso ci si mette anche uno dei suoi possibili giudici, Tommaso Miele, che in qualità di presidente aggiunto della magistratura contabile siede di diritto in quel Consiglio di presidenza della Corte dei Conti che dovrà esprimersi, all’esito dell’istruttoria affidata da pochi giorni al procuratore generale Pio Silvestri, sulle «dichiarazioni postate su un social media (X, l’ex Twitter) dal consigliere Degni». Premessa: i tweet in questione, quelli di Miele, non sono recenti.

 

 

 

Risalgono al 2016 e al 2017 e sono già stati oggetto di feroci polemiche. Se ora tornano d’attualità, grazie al quotidiano Il Foglio, è perché il suo autore - che tuttavia all’epoca aveva sconfessato i post: «Quei tweet non sono miei, sono stati scritti da una persona a me ignota» - si trova incredibilmente nella posizione di dover giudicare chi, stringi stringi, a livello politico la pensa più o meno come lui. Di simpatie grilline - reo confesso - Miele; di sinistra più o meno radicale - reo confesso pure lui - Degni. Un cortocircuito che non fa onore alle toghe (contabili, in questo caso).

 

 

 

Di Degni si è detto: su X sono ancora visibili i suoi giudizi al vetriolo sull’esecutivo Meloni e l’orgogliosa rivendicazione di una posizione di radicale opposizione alla “destra”. Quei post nei quali emerge il rimmarico per il mancato default italiano - «c’erano le condizioni per l’ostruzionismo e l’esercizio provvisorio. Potevamo farli sbavare di rabbia»- e l’elogio di «Toni Negri attivo maestro» gli sono già costati il deferimento al procuratore generale per l’eventuale avvio dell’azione disciplinare. Azione disciplinare che spetterà, in caso, agli 11 componenti del Consiglio di presidenza della magistratura contabile, competente a deliberare «sui provvedimenti disciplinari riguardanti i magistrati». Ed è in quel Consiglio, che si è insediato lo scorso 30 maggio per restare in carica per quattro anni, che Miele occupa una posizione apicale - subordinata solo al presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino, e parificata allo stesso procuratore generale, Silvestri- in qualità di componente di diritto come presidente aggiunto. Funzioni che gli sono state assegnate, con una delibera del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti, il 21 dicembre 2021. E Miele, come mostrano i tweet riprodotti in questa pagina e ancora reperibili sul web, quanto a opinioni politiche non ha nulla da invidiare a Degni.

 

 

 

I post, come detto, si riferiscono a un’altra stagione politica. Quella di Matteo Renzi, che Miele - eufemismo- non amava. Ecco cosa scriveva il 18 dicembre 2016, sei giorni dopo l’addio dell’attuale leader di Italia Viva a Palazzo Chigi: «Oggi giorno di festa comandato dal Signore: è tornato sulla scena il cazzaro di Rignano sull’Arno. Ancora parla. Ha la faccia come il c...». Il giorno dopo, il bis: «È tornato Renzi, il bullo furbastro bugiardo». Il 30 aprile 2017, l’ex premier vince le Primarie del Pd e si riprende il partito. E il giorno successivo il magistrato contabile fa ancora outing: «A Micron gli piace vincere facile! Alle Politiche il M5S lo seppellirà».

Miele annusa il pericolo di rientro al vertice di Renzi e in vista delle Politiche del 2018 lancia un’altra bordata: «Stasera ho deciso, per evitare che torni Micron (che proprio non lo reggo) voterò convintamente M5S». Quella per l’attuale senatore di Iv è un’ossessione, per Miele. È sempre Il Foglio a ricordare un’altra sequela di offese riservata all’ex segretario del Pd: «Italiani in futuro ricordatevi chi è Renzi: arrogante, presuntuoso, prepotente, incapace, bugiardo: che non si accosti più a Palazzo Chigi».

A causa di questi post, nel 2020 Miele vide naufragare la sua candidatura al vertice della stessa magistratura contabile dopo l’elezione dell’allora presidente, Angelo Buscema, alla Corte costituzionale. Ma sbaglia chi pensa a una resa. La toga non ha mai riconosciuto la paternità di quei post: «L’account è mio ma quei tweet non sono miei. Non è stato un hacker. L’unica cosa che posso dire è che spesso lasciavo l’iPad in giro in ufficio. E altri magari parlavano con la mia bocca: utilizzavano il mio profilo per attaccare Renzi». 

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