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Giovanni Toti, Gaetano Pecorella: "Hanno già emesso la sentenza, ma gli indizi sono scarsi"

Francesco Specchia
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Tutti contro Toti, è il refrain. «Processualmente questo arresto ha una valenza pressoché nulla. La misura cautelare serve o per preservare le prove, o per l’assenza dell’indagato. Qui ha solo carattere punitivo, e politico. Marchia un presidente di Regione che, avviato il processo, anche fosse innocente e discolpato del tutto, lo saprà magari fra dieci anni. E sarà tardi...».

Gaetano Pecorella oggi compie 86 anni; ficca ancora, tenacemente, le gambe sotto la scrivania del suo studio di penalista e principe del foro milanese; e, da garantista invincibile, si addentra nel caso di Giovanni Toti, presidente ligure agli arresti domiciliari. L’avvocato è una furia gentile.

 

 

 

Caro avvocato Pecorella, come legge l’arresto del governatore della Liguria. Un dovere? Un caso di culpa in vigilando? Un errore madornale (il legale di Toti parla di “legittima attività di amministratore pubblico”)?
«Bisogna leggere bene gli indizi e le accuse contro Toti. Però noto che molti giornali hanno – come al solito –già emesso la sentenza, senza curarsi di produrre uno straccio di contraddittorio. Fatto salvo il sacrosanto diritto d’indagare, non mi pare ci siano gli elementi per la restrizione delle libertà personale del governatore della Liguria, il cui arresto dovrebbe avere carattere eccezionale. Qui, invece, non vedo pericolo di inquinamento di prove che sono già state abbondantemente diffuse anche dalla stampa; né credo, per come lo conosco, che Toti possa scappare in Sudamerica; per non dire della reiterazione del reato, suvvia...».

Quindi lei non ravvisa le esigenze cautelari dall’articolo 274 del codice di procedura penale che hanno sorpreso Toti all’alba neanche fosse Al Capone? Concorda con chi parla di una strana tempistica alla vigilia delle elezioni?
«No. E, di certo la tempistica dell’arresto è sospetta. Rispetto alla volontà del popolo che dovrebbe andare alle elezioni senza essere condizionato, qui l’intervento dei magistrati, invece la condiziona. Si tratta di un’inchiesta del 2020, potevano aspettare dopo le elezioni».

Un’altra vulgata spiegherebbe che, invece, i magistrati avrebbero proceduto all’arresto “a tutela delle elezioni stesse”.
«Se fosse davvero così sarebbe gravissimo, e la misura cautelare diventerebbe uno strumento politico. Che va ad incidere sul voto del cittadino. E, badi, non sarebbe la prima volta, vale per l’arresto ma anche per l’avviso di garanzia o per il rinvio a giudizio: quando arrivano prima di un grande evento influenzano le scelte politiche. Si ricordi sempre dell’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi alla conferenza sulla legalità a Napoli: lì si colpì non solo il Presidente del Consiglio, ma l’onestà di un intero popolo che l’aveva votato. Poi quello, nei suoi confronti, divenne un’abitudine...».

Ha letto che il ministro della Giustizia esprime perplessità sui modi e sui tempi e –fa intendere- sulla spettacolarizzazione dell’arresto di Toti? Detto da un ex pm, non è una bordata contro la magistratura?
«Nordio è un garantista a 24 carati. Certo, qui il suo commento su Toti può apparire come un’interferenza, una mancanza di fair play della politica. Ma credo che, dati i magistrati che continuano a violare le regole della politica, forse è il caso che anche la politica non rispetti più di tanto quelle della magistratura. D‘altronde, nel 1993, la crisi della politica montò il potere dei pm. E tuttora i politici e gli amministratori specie nella Pubblica amministrazione, sono spesso immobilizzati».

Lei sta citando l’abolizione dell’abuso d’ufficio, una delle prime misure della Riforma Nordio della giustizia.
«L’abuso d’ufficio era la chiave dei pm per entrare in altre inchieste, non rispettava i criteri di tassatività e di tipicità. Io lo manterrei solo per il conflitto d’interesse nella pubblica amministrazione; negli altri casi è solo uno strumento persecutorio. Ma se devo dirle la verità, non vedo sulle riforme, grandi rivoluzioni».

In che senso, scusi?
«Voglio dire: non si può non condividere il programma di riforme di Nordio. Ha fatto ottime promesse, ma non ho ancora visto riforme radicali fondamentali, finora. Sulla separazione delle carriere, necessari, nel rispetto totale dell’articolo 111 della Costituzione (il giudice non solo terzo, ma pure imparziale) per esempio, c’era la proposta di Berlusconi, o il progetto di legge d’iniziativa popolare presentato dalle Camere penali. Bastava poco. Invece resta intrecciata alle riforme bandiera dell’autonomia differenziata della Lega e del premierato di Fdi. Merce di scambio. Questo le dà un’idea delle serietà. Spero vivamente che lascino lavorare il ministro».

Cioè lei, velatamente, mi sta dicendo che lo stato della Giustizia in Italia sarebbe ancora vittima del Sistema denunciato da Palamara e che, nonostante la buon volontà la “madre di tutte le riforme” non arriverà?
«Sarò antico, ma io credo sempre nella presunzione di non colpevolezza e nella giusta durata del processo; però, fino ad oggi a forza di rinvii, tempi d’udienza, durata delle indagini e fascicoli infilati nelle scrivania i tempi del dibattimento - e se andare a dibattimento- lo decidono sempre i giudici. Sa perché funziona il processo in America?».

 

 

 

La struttura della Common Law è più agile, la Costituzione più flessibile, la burocrazia al minimo storico?
«No. Perché dipende dalla giuria che viene convocata tutti i giorni finché non s’arriva alla sentenza. Da noi ci sono dei casi in cui il giudice e l’imputato non ricordano nemmeno quando è cominciato il processo, e le udienze precedenti perse nel tempo. Non mi si parli di processo accusatorio, per favore: questo resta un processo inquisitorio, scritto».

Nordio in merito alla separazione delle carriere, ha proposto due Csm e un’Alta corte che giudichi davvero i magistrati. Non la convince?
«Si figuri. Quelli erano una mia proposta di legge di quand’ero in Parlamento, si figuri se non sono d’accordo. Oggi le pare possibile che nel Csm prevalgano i pm sui giudici? Poi è passata la linea dei pubblici ministeri: anche i giudici, alla fine, in fondo, temono di essere indagati».

Altra fissa di Nordio riguarda la riforma delle intercettazioni. Una materia in continuo divenire da sempre...
«Guardi, ho insegnato diritto all’università per 45 anni, e ho fatto l’avvocato per 60 anni: ma sa che a volte non capisco quale sia la legislazione vigente? Cambia continuamente. La Cartabia ha fatto una riforma, poi una riforma delle sua riforma, Nordio fa una riforma della riforma della riforma, e col prossimo ministro sarà uguale. Ma sulle intercettazioni la penso come Nordio. Solo per gli indiziati e solo nel fascicolo del magistrato».

Due magistrati con cui lei ha avuto a che fare sono alle prese con qualche problema giudiziario: Ilda Boccassini per non aver rivelato una fonte, Piercamillo Davigo per il caso Amara. Come la legge, da garantista? Una sorta di nemesi storica?
«La Boccassini si è sempre comportata con correttezza, nonostante i processi, mirati, a Berlusconi. Su Davigo: se lei pensa che un pm –con la testa del pm- diventa presidente di una importante sezione della Cassazione, be’, questo le dà l’idea dell’assoluta necessita della separazione delle carriere. Il pm è diverso dal giudice: deve avere il culto del sospetto, un giudice deve sapere ascoltare».

L’elogio di Piero Calamandrei ai giudici da parte di un avvocato...
«Calamandrei riportava lo scambio in aula tra un avvocato che diceva al giudice che l’interrompeva “se lei non mi consente di parlare...”; e il giudice rispondeva: “se lei non mi consente di capire, io non posso giudicare”. Ecco, qui sta il senso della giustizia...».

 

 

 

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