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Giovanni Toti, i pm: "L'interrogatorio? Decidiamo noi se e quando"

Giovanni Toti

Pietro Senaldi
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Ormai la strategia di una parte della magistratura è evidente: Giovanni Toti deve dimettersi e per favorire questa decisione bisogna tenerlo agli arresti il più a lungo possibile. Funzionale allo scopo è spingere sempre più in là nel tempo la sua deposizione davanti ai pm, casomai essa facesse cadere le già fragili motivazioni del provvedimento cautelare. In un attimo di nervosismo, il procuratore capo Nicola Piacente ieri si è tradito: «Non abbiamo alcun dovere di ascoltarlo a breve» ha detto, aggiungendo che «l’unico frangente in cui saremo obbligati a interrogarlo è al momento della chiusura delle indagini», prima dell’eventuale richiesta di rinvio a giudizio.

Già, perché malgrado per la grande stampa e l’opinione pubblica Toti sia già condannato, in realtà non è ancora neppure a processo. Il governatore, come ogni indagato, «può sempre presentare una memoria o fare dichiarazioni spontanee al Riesame», ha poi concesso il pm, sapendo che nessuna delle due cose sarà fatta, perché in questa fase entrambe le mosse sarebbero un autogol per la difesa.

Piacente e i suoi magistrati quindi fanno sapere di potersi prendersi tutto il tempo che vogliono, convocando per gli interrogatori, se lo volessero, anche mezza Liguria prima del presidente. Tra gli effetti collaterali, non necessariamente indesiderati, potrebbe esserci quello di far saltare i nervi al Toti in gabbia e spingerlo a lasciare in cambio della libertà, oppure di logorare la giunta ligure, che è costretta a procedere decapitata, il sindaco Marco Bucci, che ha perso un interlocutore fondamentale, o finanche il centrodestra romano, che potrebbe essere spinto a invitare il governatore al passo indietro per evitare un possibile stop dei cantieri che devono partire nella Regione. Il viceministro delle Infrastrutture, il leghista genovese Edoardo Rixi, ha detto chiaramente che, con Toti indisponibile, non si può al momento nominare un nuovo presidente dell’Autorità Portuale, visto che l’attuale, Paolo Piacenza, è indagato per abuso d’ufficio.

 

 

A chi sicuramente non sono scattati i nervi è Stefano Savi, l’avvocato del governatore, che non ha raccolto la provocazione del procuratore, il quale pure aveva dato l’impressione di voler sentire l’indagato ben prima della chiusura delle indagini. Il legale ha replicato di aspettare fiducioso i tempi dell’accusa, consapevole che essa è molto impegnata.

La prossima settimana, il 24 maggio, in città è prevista la posa del primo cassone della diga foranea, l’opera fondamentale per lo sviluppo del porto ma anche la più costosa, con il suo miliardo e trecento milioni. La presenza di una folta rappresentanza del governo all’evento sarebbe un chiaro segnale che il centrodestra non vuole abbandonare Toti. Il logorio infatti a cui punta chi sogna di cancellare il grande indagato dalla scena politica, oltre che umano è anche politico, visto che il governatore è di fatto esterno ai partiti della maggioranza di governo e non ha grandi protettori a Roma.

La linea difensiva comunque è chiara. Toti ha chiesto di essere sentito dai pm e ha annunciato che dopo l’interrogatorio presenterà istanza per essere rimesso in libertà, perché solo così potrà avere un confronto con i partiti e con la sua giunta, in modo da poter decidere del proprio futuro. La magistratura teme che, una volta in libertà, a meno che non riceva pressioni fortissime dall’esecutivo, che però nell’esercitarle farebbe un passo falso, il presidente della Regione, sostenuto da tutta la sua giunta e dai consiglieri di maggioranza ma anche da qualcuno dell’opposizione -, che non vogliono andare a casa e rinunciare a 200mila euro di compensi netti ancora da incassare da qui a fine legislatura, tenga duro e riprenda a governare. Non sarebbe certo il primo né l’ultimo capo di una Regione che va avanti sotto il peso di un’inchiesta.

 

 

A quel punto, il tentativo di dare una spallata giudiziaria in grado di scombinare il quadro politico ligure e nazionale sarebbe fallito. Perciò i magistrati procedono a rilento. Nel frattempo, l’accusa beneficia di tutte le intercettazioni fatte uscire scientificamente sui giornali, che non spostano i termini processuali, essendo per la maggior parte irrilevanti ai fini dei giudizio, ma tengono sotto pressione l’indagato e ne rovinano sempre di più l’immagine, confondendo l’opinione pubblica sui reali reati contestati e sui confini dell’inchiesta.

Dopo l’interrogatorio, a questo punto a data non preventivabile, in teoria dovrebbero cadere tutte le motivazioni per mantenere Toti agli arresti.

Non ci sarebbe più la corruzione elettorale, visto che le Europee saranno passate. Tantomeno potrebbe essere addotto il rischio di reiterazione del reato nel cambio di destinazione della spiaggia dei bergamaschi a Celle Ligure o nella proroga della concessione del terminal Rinfuse all’imprenditore Aldo Spinelli. Il destino del lido infatti dipende dal demanio e non da Toti, e quindi mai sarebbe potuto essere neppure oggetto di corruzione; quanto alla proroga, c’è già stata, e peraltro porta la firma dell’Autorità Portuale e non della Regione.

Per tenere ancora agli arresti il presidente dopo l’interrogatorio, i pm possono solo sostenere che, nel corso dell’ultimo mese sono emerse nuove evidenze che giustificano il fermo. Bisogna però capire quali, visto che la città è paralizzata e l’indagato è impossibilitato ad agire. Se lo faranno, l’inchiesta diventerà un gioco al massacro, e calerà il velo su ogni dubbio in merito alla sua politicizzazione.

La Liguria e Genova sono tradizionalmente rosse ma nelle ultime due legislature i cittadini, che non volevano accettare il destino di un declino inevitabile disegnato dalle precedenti giunte, hanno provato a dare fiducia al centrodestra, che ha messo in campo dodici miliardi di opere infrastrutturali che rilancerebbero il territorio, riportandolo a fasti dimenticati.

Qualcosa si sta già vedendo, molto si intuisce. È chiaro che, se qualcuno non ferma Toti, Bucci e il governo che li sostiene, questa Regione è destinata a cambiare colore per decenni e non solo per un paio di mandati. È quello che la sinistra non si può permettere.

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