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Albania e migranti, allora anche l'Italia non è più un paese sicuro

Marco Patricelli
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Lo dicono i magistrati, ci brindano a sinistra: un Paese, per essere considerato sicuro, lo deve essere ovunque e per tutti. E se lo sostengono in Italia, deve essere proprio vero, perché è la Patria del diritto e quella di Cesare Beccaria, dove l’accoglienza è un dogma inscalfibile, la Chiesa è universalista con messa cantata e gli immigrati sono a prescindere una risorsa che ci arricchisce culturalmente (e ci pagano pure le pensioni). Qui è stato inventato il detto “piove governo ladro”, ma vale solo se l’esecutivo è di destra.

I tappi di champagne sono già saltati e le tartine al caviale imburrate e servite alla notizia che i dodici richiedenti asilo spediti in Albania sono stati mandati con raccomandata espresso in Italia nel nome delle Legge. Egitto e Bangladesh non sarebbero Paesi sicuri perché non ovunque e non per tutti. La generosa Italia di sinistra spalanca le braccia. Ma è davvero così? I romani, che diritto se ne intendevano, misero in guardia contro i radicalismi, coniando il brocardo summus ius, summa iniuria.
Ma siamo pur sempre nello stato di diritto, democratico, repubblicano, antifascista e partigiano, dove le toghe fanno buona guardia e non si sgarra. Non esistono affatto, come una volta falsamente si sosteneva, la Mafia in tutte le declinazioni nostrane e d’importazione, e neppure la Camorra, la ‘ndrangheta, la Sacra corona unita. La sicurezza del territorio è sempre e dovunque e i magistrati lo sanno bene che è assoluto a partire dalle periferie e dalla microcriminalita, nostrana e di importazione. Hanno un bello strepitare i professionisti dell’antimafia e i fiaccolisti della legalità, sempre impegnati a distorcere ideologicamente la realtà. E perché, allora, la sinistra sostiene che esiste un problema di diritti di Lgbtq+ (e varie aggiunte)? Se così fosse sarebbe un Paese non sicuro, mentre loro asseriscono il contrario per gli immigrati. E come può essere sicuro il Paese descritto dalla trimurti di riferimento militante Saviano-Scurati-Di Pietrantonio, talmente impossibilitati a esprimere le proprie idee da scriverle dappertutto e propagandarle onnipresentemente dal Manzanarre al Reno?

Ci deve essere qualcosa che non funziona, perché o l’Italia non è sicura oppure non è come la dipinge l’opposizione, quella che vuole tutti i migranti in Italia perché i diritti sono tutti qui, ovunque e per chiunque, ma poi bombarda il governo di essere fascista e di mirare alla deriva autoritaria a partire dalla sicurezza dei cittadini. Se quindi un Paese abitato da fantasmi fascisti è sicuro, che senso hanno i ghostbusters dell’Anpi? Altrimenti hanno ragione gli intellettuali perseguitati e deportati tanto da dover chiedere asilo alla Buchmesse di Francoforte come profughi qualunque riparati con la navicella del loro ingegno.

 

BUROCRAZIA KAFKIANA

L’Italia non è un Paese sicuro, diciamolo a quelli che cullano sogni e speranze e anche a coloro che sono impegnati nell’ululare alla luna solo quando non comandano loro. Non può essere sicuro un Paese dove se vai in Trentino ti azzanna un orso, sei vai in Abruzzo puoi essere caricato da una mandria di cervi o circondato da un branco di lupi, e se vai a Roma puoi avere gratis un cinghiale da guardia in cortile con tanto di cucciolata. È pericoloso stare da queste parti, Paese della musica in cui da un momento all’altro può spuntare da un anfratto un ragno violino e spedirti all’altro mondo con una puntura.

Ma qualcuno li avverte gli aspiranti immigrati che qui il pericolo è dappertutto? Se stai in montagna ti metti a rischio di terremoto, se vicino al fiume incombe un’inondazione che non si nega a nessuno, e se stai per affogare in mare (ipotesi non remota considerato che lo Stivale ne è circondato per tre quarti) il bagnino deve chiedere il permesso alla Capitaneria prima di intervenire altrimenti si vede affibbiare una multa da 1.500 euro. È lo Stato di diritto, della burocrazia kafkiana, dell’attenzione certosina alle pagliuzze nell’occhio altrui, dei corsi, ricorsi e controricorsi perché prima o poi un giudice ti dà magari ragione.

Il territorio è generoso di bellezze incomparabili, ma non immune da pericoli letali che mettono a rischio chiunque si azzardi a venirci alla luce o a sceglierlo solo perché altrove- dove condivide lingua, cultura e usanze - non si trova bene.

Repubblica sabato ha pubblicato un articolo strappalacrime su un bangladese smarrito, sperduto e scioccato dall’esperienza in Albania durata l’éspace d’un matin. Uno dei dodici. Ha riferito che a casa sua non può parlare, e si può escludere che la colpa sia della moglie, considerata l’aria che tira da quelle parti per il genere femminile. Immigrato imbavagliato un po’ come Scurati, o Saviano, o Di Pietrantonio, insomma. Poi ha aggiunto che il suo desiderio è di raggiungere il fratello in Italia, ma l’ha detto dopo l’arringa dell’avvocato Giulia Bongiorno a tutela del ministro Matteo Salvini nel pasticciaccio brutto del Processo Open Arms: il povero bangladese, insomma, ha confermato anche se non ce n’era bisogno che il “biglietto” pagato agli scafisti prevedeva l’approdo proprio in Italia, non in un porto sicuro come previsto dalle norme internazionali, ma prestabilito alla partenza. In ogni caso, di prassi, da un bel po’ solo l’Italia è polo d’attrazione delle migrazioni assai meno di quanto vorrebbe esserlo turistico. Ma come Jessica Rabbit non riesce a risolvere il dilemma se è come è davvero oppure come la sinistra la disegna: l’Arcadia quando e dove governa essa, per postulato, la Suburra quando è in minoranza non rassegnata. Una sicurezza schizofrenica, quasi come le dichiarazioni arroventate nell’acqua calda di Elly Schlein. Qui la Legge è uguale per tutti, il processo è sempre giusto con la certezza della pena, e vige una rigida separazione dei poteri, per cui la magistratura si guarda bene dall’interferire con la politica, almeno dal 1992, come ha testimoniato da ultimo un esperto come Luca Palamara. Benvenuti tutti nel Belpaese.

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