Carlo Nordio, perché lo vogliono fregare sul caso-Almasri

di Fausto Cariotigiovedì 10 luglio 2025
Carlo Nordio

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È la volontà di colpire Carlo Nordio, dunque, il motivo per cui il “caso Almasri” viene tenuto aperto dal tribunale dei ministri. Nonostante la proroga per l’indagine sul guardasigilli – e su Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi e il sottosegretario con delega ai servizi, Alfredo Mantovano – sia scaduta a fine giugno. Libero aveva sollevato la questione due giorni fa: il tempo a disposizione è finito, ogni possibile testimone è stato ascoltato da tempo, ma la magistratura non ha ancora tirato le conclusioni della vicenda giudiziaria più importante della legislatura, né dato spiegazioni. Perché questa anomalia? La risposta è arrivata ieri mattina. Rispetta, ancora una volta, la «regola aurea del tre» descritta da Luca Palamara: «Le tre armi del “Sistema”: una procura, un giornale amico, un partito che fa da spalla politica».

I giornali in questo caso sono due. Il Corriere della Sera scrive che il tribunale dei ministri «ha concluso l’indagine e sta per consegnare le sue decisioni». Nessuna anomalia, insomma. Solo la necessità di cucinare a dovere il materiale raccolto, nel quale «c’è il riscontro che fin dal primo pomeriggio di domenica» 19 gennaio, cioè subito dopo l’arresto dell’ufficiale libico Najeem Osama Almasri, «la capo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi, sapeva ciò che stava avvenendo, e diede le indicazioni ai magistrati del Dipartimento degli affari di Giustizia di parlarsi con cautela. Preoccupandosi di non lasciare troppe tracce». Questa scelta di usare riservatezza nelle comunicazioni, che in pratica significava usare l’app Signal, più sicura di altri sistemi, sarebbe «un indizio preciso che già dalla domenica non solo il suo braccio operativo, ma presumibilmente anche il ministro, sapesse già tutto».

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Notare i termini: «indizio» e «presumibilmente» indicano che non c’è nessuna prova, nessuna “pistola fumante” a carico di Nordio. Il Corriere, infatti, titola che «il ministero sapeva». Non il ministro. Il quale, riferendo in parlamento, dirà poi che «ufficialmente il carteggio è arrivato al ministero, protocollato, il 20 gennaio alle ore 12.40». Mentre quella del 19 gennaio era «una comunicazione assolutamente informale, di poche righe, priva di dati identificativi, priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non vi era nemmeno allegata la richiesta di estradizione».

Repubblica ha lo stesso materiale del Corriere, ma meno scrupoli deontologici. Infatti scrive che la mail con cui la capo di gabinetto di Nordio raccomandava di comunicare tramite canali riservati dimostra che «Nordio sapeva». Secondo la sinistra, queste sono le prove inconfutabili che «il ministro Nordio ha mentito al parlamento e per questo si deve dimettere», per dirla con le parole di Angelo Bonelli.

Tutto ciò senza nemmeno conoscere (almeno si spera) la cosa più importante: le decisioni che prenderà il tribunale dei ministri, che in base alla legge può disporre l’archiviazione «con decreto non impugnabile» degli atti sugli indagati, e dunque finirla lì, oppure chiedere il rinvio a giudizio e l’autorizzazione alla Camera competente per uno o più di loro. Decisioni che ufficialmente non risultano essere state prese: nulla è stato comunicato ai quattro indagati.

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Il fuoco, come visto, è concentrato su Nordio, che a differenza degli altri esponenti del governo è indagato per presunta omissione di atti d’ufficio. Lo sforzo è tutto nel trasformare l’uso di una app riservata da parte del capo di gabinetto in un’accusa a carico del guardasigilli. Il quale ha la sventura di incarnare l’obiettivo politico perfetto: la sua firma e la sua faccia sono sul disegno di legge che separa le carriere dei magistrati e introduce il sorteggio nella scelta di coloro che dovranno giudicarli. L’unica riforma costituzionale che ha la possibilità concreta di essere approvata in questa legislatura. E anche questo segue lo schema raccontato da Palamara quattro anni fa, quando spiegava quale fosse l’obiettivo del “Sistema”: «È sempre quello: impedire che un governo di centrodestra vari delle riforme della giustizia per noi inaccettabili».

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