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Giustizia stupefacente: ecco tutte le sentenze folli delle toghe

di Fausto Carioti lunedì 17 novembre 2025

toghe

4' di lettura

È una storia che potrebbe intitolarsi «Se ventiduemila dosi di droga vi sembran poche». Racconta tante cose: la percezione che i magistrati hanno di se stessi, gli argomenti con i quali si contrappongono al governo, i criteri con cui i tribunali applicano le norme sulle tossicodipendenze e la distanza che li separa dal senso comune. Spunti di riflessione su come funzioni oggi il giudizio disciplinare dei magistrati, magari utili in vista del referendum di primavera.

La questione diventa pubblica l’8 novembre, quando Alfredo Mantovano, sottosegretario con delega alle politiche antidroga, denuncia le «sentenze stupefacenti» emesse da quei magistrati «che, a fronte della detenzione di qualche chilo di sostanza, ravvisano l’uso personale». Pronunce che hanno «conseguenze devastanti», avverte. Punta l’indice anche sulle «decisioni della magistratura di sorveglianza» che sembrano creare «un federalismo della giustizia».

Accuse ritenute infamanti da certe toghe. Vincenzo Gaetano Capozza, magistrato della Corte d’appello di Roma, gli risponde il 15 novembre dalle colonne del Fatto. Anzi, lo sfida: «Vorrei chiedere all’illustre sottosegretario di indicarci le decisioni che hanno ritenuto l’uso personale nei casi di detenzione di qualche chilo di sostanza stupefacente. Delle due l’una: se tali sentenze esistono, i giudici che le hanno emesse dovrebbero essere perseguiti disciplinarmente e duramente sanzionati in ragione di un’applicazione stravagante, anzi “stupefacente”, delle norme». In caso contrario, prosegue nella sua lettera al quotidiano, «mi sentirei autorizzato a ritenere che l’affermazione sia gravemente diffamatoria per l’intera categoria della magistratura giudicante». Mantovano risponde sul numero del Fatto in edicola ieri. Leccese di poche parole, evita i toni polemici. Snocciola sentenze: non tutte, si limita a pescarne alcune a campione, perché lo spazio è limitato, ma ce ne sono quante ne bastano per capire come funziona.

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PRINCIPIO ATTIVO
Il caso recente più clamoroso risale al 14 marzo scorso, quando il tribunale di Cagliari ha assolto due sardi di origini straniere, di 22 e 23 anni. I carabinieri, al termine di un inseguimento, li avevano fermati a bordo di una Bmw su cui trasportavano sette buste di marijuana, ciascuna contenente 580 grammi. Quattro chili in tutto, che secondo il perito equivalgono a 22.387 dosi. I due si sono difesi sostenendo di aver acquistato della cannabis “light”, che ha il principio attivo Thc inferiore al 5%, ma l’esperto ha appurato che questo fosse presente al 15,9%. Il commerciante da cui l’hanno acquistata ha testimoniato che può capitare una contaminazione dei semi (che sarebbero stati acquistati regolarmente in Germania), e dunque che si ottenga canapa di varietà “indica” anziché “sativa”. Secondo il tribunale, la procura non ha dimostrato che quelle 22mila dosi fossero destinate allo spaccio. Non colpevoli, dunque.

Un ammontare di droga analogo fu trovato a un uomo fermato nel maggio del 2004, di ritorno dalla Colombia, con 1,6 chili di cocaina, secondo la perizia tossicologica sufficienti per 5.500 dosi. Nel settembre del 2005 la Corte d’appello di Bari l’assolse con la formula che il fatto non costituisce reato; nella motivazione i giudici affermarono che spetta all’accusa dimostrare un uso diverso da quello personale e che «il criterio della quantità non è esclusivamente significativo di attività di spaccio».

Quantitativo inferiore, ma stesso copione a Cassino, dove nel dicembre del 2023 è stato prosciolto un uomo in possesso di 300 grammi di marijuana e 38 rami di pianta di canapa, per oltre mezzo chilo di droga. A Milano, dove la Corte d’appello, nel novembre del 2022, ha assolto un imputato che aveva 350 grammi di marijuana. A Firenze, dove nel maggio 2021 è stato dichiarato non colpevole un uomo trovato con 450 grammi di marijuana, pari a 1.927 dosi.

Dallo stesso tribunale toscano, nel marzo 2016, uscì senza condanna un uomo con precedenti per droga colto in possesso di 597,6 grammi di cocaina, quanta ne basta per 3.144 dosi. Arrestato per spaccio, è stato dichiarato non colpevole perché molto ricco, e dunque presumibilmente non interessato a rivendere la droga: «Se si esclude l’elemento del quantitativo detenuto», hanno scritto i giudici, «assolutamente nulla negli atti di causa permette di affermare che detenesse per spacciare». Così come era per «uso personale» la cocaina, equivalente a 300 dosi, trovata a un imputato assolto a Roma nel gennaio 2015.

Appena due giorni fa, ignorando l’allarme lanciato da Mantovano, il tribunale di Siracusa ha assolto l’imputato che nel maggio 2024 era stato preso nel comune di Avola con hashish per 974 dosi e marijuana equivalente a 387 dosi. Solita motivazione, anche stavolta. Sono solo alcuni episodi, Mantovano avrebbe potuto citarne altri. Come quello del tribunale di Torino, che nel maggio del 2021 ha ritenuto di «lieve entità» le 2.000 dosi di hashish e 678 di marijuana di cui era in possesso il rapper conosciuto come “Kaprio”, condannato così a soli 10 mesi di reclusione, con sospensione della pena. Secondo i giudici, «è noto come in certi contesti e ambienti artistici vi sia un uso piuttosto disinvolto delle sostanze stupefacenti, soprattutto quelle leggere ritenute idonee a favorire la creatività artistica. Deve dunque ritenersi plausibile che il giovane detenesse lo stupefacente tanto per uso personale quanto per le cessioni finalizzate a un consumo di gruppo».

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COMUNITÀ DI RECUPERO
Nella replica al giudice Capozza, Mantovano scrive di non sapere se tutto ciò sia materia da giudizio disciplinare: «È questione che non mi compete. Certamente vi è un problema di inadeguata percezione della gravità del fenomeno». Quanto al «federalismo della giustizia», spiega che la sua critica riguarda i tempi di risposta dei tribunali di sorveglianza rispetto alle richieste dei detenuti tossicodipendenti che vogliono essere ammessi a percorsi di recupero in comunità. Domanda Mantovano: «Perché alcuni tribunali rispondono rapidamente, anche dopo un mese, e altri impiegano molto di più, anche oltre un anno, così vanificando la buona volontà di affrontare quel difficile, ma essenziale, cammino di rinascita?». Spetterebbe ai magistrati e ai loro organi di autogoverno dare una risposta.

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