Perché la storia della “Famiglia nel bosco” ha innescato un interesse così grande? Da qualche giorno mi interrogo, come tutti voi, su che cosa ci stanno dicendo quel padre, quella madre, quei bambini, quella famiglia che ha scelto una via diversa dell’esistere.
Ho letto l’ordinanza del tribunale dei minori che «sospende la potestà genitoriale» di Nathan e Catherine, ho grande rispetto per i magistrati e gli assistenti sociali, ma non sono convinto che tutto quello che c’è scritto sia “giusto”, perché in questa vicenda nel diritto c’è un rovescio: è la libertà della “famiglia nel bosco”. Ho deciso di pubblicare la decisione del tribunale perché ci mostra come la Giustizia possa cambiare le sorti dell’esistenza di ognuno di noi, fin dall’età dell’innocenza. I genitori sono fuori dal comune, certo, la vita di quei bimbi è piena di rischi (che si possono mitigare), ma il nostro vivere “ordinario” è migliore?
Guardiamoci intorno, la disperazione abbonda. Il nostro “contratto sociale” è perfetto? La loro aspirazione a una bucolica utopia, il desiderio di cercare un fanciullesco rapporto alle pagine 6-7-9 con il Creato, non può essere considerato un errore, una deviazione da punire.
La “famiglia nel bosco” mi ha riportato alle pagine meravigliose di Elémire Zolla, alla sua indagine sulla filosofia perenne, al significato di parole come “contemplazione”, “anima”, “spirito”, termini che oggi creano quasi sconcerto. Strappare quei bimbi al padre e alla madre non sarà una correzione di rotta, ma un viaggio nel buio, per sempre senza stupore. Fermatevi.




