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I Professori si fanno beffarepure dalla casta valdostana

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Nella regione salta il taglio dei consiglieri regionali: secondo la sentenza della Corte Costituzionale è infatti illegittimo

Andrea Tempestini
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di Enrico Paoli Ebbene sì, la mamma dei cavilli legislativi e giuridici, una delle italiche virtù che non conosce calo demografico, è sempre incinta. E da quella pancia esce di tutto, a qualunque latitudine.  Ad ingravidarla ultimamente sta contribuendo, con una fecondità a dir poco sospetta, il governo dei tecnici. Ai quali  deve far difetto l'assimilazione di  un sacrosanto principio: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. L'ultima cavillata, messa a segno dalla Val D'Aosta, Regione a statuto speciale, è da manuale e potrebbe aprire la strada ad una vera e propria valanga di ricorsi, soprattutto da parte di  coloro che non sono affatto disposti a vedere scomparire quel poltronificio chiamato Provincia. La Corte costituzionale ha accolto il ricorso presentato dall'ente  relativo al taglio del numero dei consiglieri regionali, previsto dalla manovra-bis varata dall'ultimo governo Berlusconi. La legge prevedeva, tra le altre cose, l'abbassamento dei posti in consiglio in rapporto al numero di abitanti nella Regione e quelli in giunta, che non avrebbero dovuto essere superiori al 25% del totale. «La riduzione dei posti in giunta e in consiglio, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, può passare solo dalla modifica del loro statuto», sostiene nel dispositivo la Corte costituzionale, «che ha un rango costituzionale, e non può quindi essere sottoposto a vincoli e condizioni da parte della legge ordinaria». Insomma, con poche righe, ma di rara efficacia, gli ermellini hanno messo alla porta il governo, rimettendo tutte le decisioni in materia di poltrone  agli amministratori locali. Allo stesso modo, sono stati bocciati anche i limiti fissati sulle indennità, per evitare che superino quelle dei parlamentari e per legarle al tasso di presenza effettiva negli organi politici. In questo caso, però, il consiglio  della Valle d'Aossta era già intervenuto lo scorso dicembre con un taglio ai costi della politica, approvando la riduzione del 10% delle indennità spettanti ai consiglieri regionali, una misura comprensiva dell'adeguamento previsto dalla manovra. Almeno la cassa si può toccare.  Gettone a parte, resta il precedente creato dalla Corte costituzionale, che rischia di essere sommersa dai ricorsi  per evitare  il taglio delle province. Alcuni enti intermedi, infatti, rischiano di «chiudere» per colpa di pochi chilometri, altri che si oppongono alla loro soppressione sostenendo che in tal modo si cancellerebbe un pezzo di storia. La Provincia regionale di Trapani, per esempio, rischia di sparire perché la sua superficie è di 2.459,84 chilometri quadrati contro quella minima prevista dal Governo che è i 2.500,00, necessari per la sopravvivenza. «Pur rendendomi conto dello stato economico in cui versa il Paese», afferma il presidente, Girolamo Turano, «mi sembra un atto sconsiderato affidarne lo scioglimento a meri parametri matematici senza tenere conto di quell'insieme di valori dettati dall'economia, dalla cultura e umani che un territorio racchiude ed esprime». L'attacco più forte, però,  arriva dal segretario della Lega, Roberto Maroni. «In Lombardia rimarranno quattro Province: Milano, Bergamo, Brescia e Pavia», sostiene l'ex ministro dell'Interno, «ma le altre in realtà spariranno e insieme faranno nascere nuove Province. Questa manovra è un'assurdità e farà aumentare le spese e i dazi per i cittadini». Per Maroni, arrivati a questo punto, dovrebbero sparire anche le regioni.  Al fianco dell'esponente leghista c'è il parlamentare europeo Clemente Mastellla, strenuo difensore delle amministrazioni locali. «Se dovesse nascere la Provincia unica Avellino-Benevento»,  spiega l'ex ministro della Giustizia del governo Prodi, «i galloni sarebbero assegnati a Benevento che con oltre 62mila abitanti sopravanza Avellino (a quota 56mila) di circa 6mila unità». E mentre l'amministrazione provinciale di Viterbo ha deciso di mettere in vendita tutti gli edifici di sua proprietà,  molti dei quali di grandissimo pregio storico-artistico, ed ha intimato lo “sfratto” alla Prefettura (che ha sede in un immobile di proprietà della Provincia), per il governatore del Lazio, Renata Polverini, «il nostro Paese nonè Dakota o il Nebraska e i confini delle province non possono essere ridisegnati in base ai meridiani o ai paralleli, tracciando con la squadra una riga sul territorio». Per avvocati e costituzionalisti di annunciano tempi duri. Alla faccia della crisi.

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