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Niente corsi di ingleseI prof ci vogliono arretrati

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Un gruppo di docenti del Politecnico di Milano ricorre a un regio decreto del '33 per opporsi alle decisioni del Rettore

Lucia Esposito
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di Marco Gorra Assunto: si possono fare tutte le riforme dell'università di questo mondo, ma finché non si riforma la zucca delle persone non si va da nessuna parte. Dimostrazione: Repubblica di ieri, pagina 9 della cronaca milanese. Dove si dà conto della levata di scudi, comprensiva di puntuale ricorso al Tar, attuata da un centinaio di professori del Politecnico contro la decisione adottata dal senato accademico di rendere obbligatorio entro il 2014 l'insegnamento in lingua inglese per tutti i corsi del biennio magistrale. Le motivazioni sono un greatest hits dei grandi classici del sindacalese a declinazione scolastica: si va dall'evergreen «è incostituzionale» all'immancabile «minaccia la libertà di insegnamento», passando per il sempre efficace «discrimina gli studenti». Il tutto senza tralasciare le più consolidate parole d'ordine in materia, quali «insormontabili ostacoli nell'accesso al sapere» e «diminuzione dell'offerta formativa». Né poteva mancare il velato riverbero politico, con la denuncia della «frattura linguistica tra élites e comuni cittadini che non abbiano potuto acquisire, per ragioni economiche e/o sociali una conoscenza della lingua inglese adeguata alla frequenza di un corso universitario». L'obiettivo L'antefatto è noto, e risale all'aprile scorso, quando - su input del rettore Giovanni Azzone - il prestigioso ateneo milanese aveva deciso di abolire il bilinguismo per i dottorati e i bienni di specializzazione lasciando solo l'insegnamento in inglese. L'obiettivo del rettore era quello di «formare capitale umano di qualità in un contesto internazionale per rispondere sia alle esigenze delle imprese sia a quelle degli studenti che vogliono essere spendibili sul mercato del lavoro mondiale». Investimento complessivo: 3,2 milioni di euro. All'epoca la decisione fu salutata con entusiasmo quasi unanime (la maggioranza con cui il senato accademico disse sì alla proposta fu schiacciante). E adesso è finita a carte bollate. Folle miopia Essendo la cosa andata in mano alla magistratura, inoltre, le probabilità che i professori ribelli l'abbiano vinta non sono nemmeno così remote. Nonostante, come ricorda lo stesso Azzone, «nelle settimane scorse il sottosegretario Ugolini ha confermato che le scelte del Politecnico sono coerenti con la normativa», c'è sempre il rischio che a pesare nella decisione dei giudici sia un regio decreto del 1933 (fresco ed attuale come la mentalità dei professori ricorrenti) che impone l'italiano come lingua ufficiale per l'insegnamento in tutte le università della penisola. Ecco, il regio decreto del 1933 è l'emblema perfetto per spiegare questa storia. Di qua c'è il presente, il mondo globalizzato dove gente di ogni continente parla e lavora quotidianamente in inglese, il mercato del lavoro dove - in certi settori - la conoscenza della lingua di Shakespeare non viene nemmeno richiesta tanto è data per scontata. Di là, la miopia e la pigrizia di chi - vuoi perché l'inglese o non lo sa o lo sa poco, vuoi perché è convinto che se si è sempre insegnato in italiano allora si deve continuare ad insegnare in italiano, vuoi perché si vede minacciato dai professori stranieri che dovrebbero venire ad insegnare al Politecnico tra due anni - resetta la testa al 1933 e invoca la stramaledizione del Padreterno sugli inglesi, proprio come si faceva ai tempi dell'emanazione del regio decreto. La consolazione Di consolante c'è che, malgrado il corpo docente, i ventenni che oggi studiano al Politecnico l'inglese già lo sanno. Magari non grazie alla scuola dell'obbligo, dove ancora molto più in là di «the pen is on the table» è difficile andare. Ma di sicuro grazie a internet, ai videogiochi, ai mass media mondiali a portata di satellite, un bel po' di roba l'hanno imparata da sé. Agli studenti manca semmai proprio l'unico tassello che solo  l'università potrebbe fornire loro: il linguaggio tecnico relativo alla propria materia. Perché a sostenere una conversazione generica o a declinare i verbi irregolari puoi imparare anche da te, ma per farti capire da un tuo collega - poniamo - ingegnere aerospaziale col quale devi parlare di microchip satellitari e affini hai bisogno di una preparazione ad hoc. La stessa preparazione che, in nome di uno sciovinismo pavloviano da fare impallidire i francesi, i loro stessi professori si stanno impegnando anima e corpo pur di riuscire a negare loro a maggior gloria del re. Indietro, Savoia.

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