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Urbani, il fondatore di Forza Italia: "E' Renzi il futuro del centrodestra"

Nicoletta Orlandi Posti
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Tutto spira quiete intorno a Giuliano Urbani, ex ministro liberale dei primi governi Berlusconi e cofondatore di Forza Italia. Sono suo ospite nella bella casa della Roma barocca che alterna all'abitazione milanese. Roma e Milano sono le città elettive del settantasettenne politologo perugino. Urbani ha lasciato l'università da un decennio quando era ministro dei Beni Culturali del Berlusconi II. Oggi si occupa di Banca Sistema, istituto di factoring fondato da un suo ex allievo, ed è presidente onorario di Domina Vacanze, l'ammiraglia di Ernesto Preatoni, inventore di Sharm el Sheikh, collaboratore di Libero e Creso del settore vacanziero. Da diversi anni, ha abbandonato la politica per non guastarsi il sangue. «Ne uscii nel 2005» ricorda, «dieci mesi prima dalla scadenza della legislatura, quando Follini, Casini e altri così fecero le bizze. Berlusconi si arrese e dette le dimissioni facendo un nuovo governo solo per soddisfare le paturnie degli alleati». «È sempre stato troppo accomodante», confermo. «Gli dissi: “Se cedi, chiunque si sentirà autorizzato a cucinarsi la frittata sulla tua testa”. Lì per lì, mi dava ragione. Poi arrivava un altro e cambiava idea. Silvio manca di idee forti. È un pragmatico e si adatta alle circostanze. Questo zigzag ha però trasformato il suo progetto di rivoluzione liberale in un mucchio di foglie secche», dice scuotendo vigorosamente la testa. Urbani è meno calmo di prima. Infilo il dito nella piaga e dico: «Fosti tu, con l'altro liberale, Antonio Martino, l'autore del programma della discesa in campo del Berlusca nel 1994». Urbani sorride al ricordo e dice: «Un programma utopicamente liberale per distinguerci dal Pci di Achille Occhetto. Ne scrissi poi altri due. Nel '96, dall'opposizione, e nel 2001, quando rivincemmo. Man mano però li annacquavo. Avvertivo che non era aria. Con le alleanze ibride di Berlusconi, ex dc, ex socialisti, leghisti, ex missini, il tasso di liberalismo era vicino allo zero. Pensa a un uomo chiave come Giulio Tremonti, tuttora mio ottimo amico. Ha sempre avuto una testa socialista, di liberale nulla». «Così il berlusconismo» interloquisco «è finito nelle secche». «Quando Silvio cedette ai capriccetti già citati di Follini & co. presi la porta. Mi chiese di fare ancora il ministro, tanto per arrivare alle elezioni del 2006, ma dissi basta. Non mi ricandidai parlamentare e, solo per non rompere bruscamente con Fi, ho fatto il consigliere Rai. Poi, ho chiuso del tutto», conclude. Il tono è ora decisamente battagliero. Sembri soddisfatto di non essere oggi in politica. «Felice come una pasqua. Il clima è preoccupante e triste». Com'è messa l'Italia? «Pessimamente. Non circola un'idea credibile sul rientro del debito pubblico. Una piaga che cresce ogni giorno e su cui paghiamo interessi pazzeschi». Crisi economica, immigrazione, denatalità. Cos'è peggio? «Il debito resta il problema principale, perché insolubile. Immigrazione e denatalità invece si compensano. Ci saranno nuovi italiani. Anche se per la loro formazione facciamo poco o nulla. Non siamo bravi come in Germania». Insistere con l'euro o uscirne? «Insistere. Per abbandonarlo dovremmo avere un governo forte. Te lo immagini che, con Matteo Renzi, noi lasciamo l'euro? L'uscita non va fatta ma minacciata per avere più potere negoziale». Per? «Imporre, come minimo, la creazione di una banca Ue che stampi moneta, solo modo per affrontare la crisi. Che lo statuto europeo non la preveda è stato un errore mefistofelico». Credi nell'Europa? «Anni fa, assieme ad altri, scrissi un libro dal titolo “L'Europa conviene?”. Gianni Agnelli mi rimproverò l'interrogativo dicendo che ci voleva un esclamativo di totale approvazione. Siamo stati invece anche troppo poco dubitativi». Abbiamo politici all'altezza di queste incognite? «No. Manca il personale politico capace di negoziare in Europa. È stato anche il grosso limite del governo Berlusconi. Quando Merkel e Sarkozy si sono permessi di deriderlo era perché sapevano che siamo deboli». Abbiamo però euroburocrati ferrati. «Neanche. Manca la classe politica e mancano le gerarchie intermedie. Il degrado del Paese ha avviluppato tutto e tutti. Ricordiamoci cosa erano i professori universitari di un tempo e vediamo chi oggi insegna all'università. Fa venire i brividi». Il centrodestra è all'angolo? «È alla quasi sparizione. Si è troppo immedesimato con Berlusconi e ora scompare con il suo declino. Né Silvio ha lasciato eredi». Il Cav è la risorsa del centrodestra o il tappo che lo frena? «Né l'uno, né l'altro. Oggi, il centrodestra ha una sola speranza: Renzi. Prima avevamo i comunisti che mangiavano i bambini, ora - con Renzi - abbiamo il bambino che mangia i comunisti». Matteo è il futuro? «È l'elettore di centrodestra che lo vede così. Il futuro non può essere Berlusconi. Anche Alfano, con tutta l'amicizia, non è l'uomo su cui si ricostruisce il Paese: non incarna nessuna speranza risolutiva». Vedi ancora il Cav? «Pochissimo e mai per occasioni politiche. Resta la mia amicizia». Non lo consideri più il baluardo contro la sinistra. «Oggi, la politica basata sulla competizione è nociva. Il nostro interesse vitale è quello nazionale. In Europa, ormai, non giocano i partiti ma le Nazioni e a noi manca la Nazionale». Allora ti piacerà il patto del Nazareno tra Renzi e il Cav. «Utilissimo. Ottima base per cambiare le istituzioni e fare anche altro. Sano pragmatismo di Berlusconi e Renzi cui auguro grande successo». L'alleanza di fatto col Pd è la rinuncia definitiva a qualsiasi prospettiva liberale. «Il sogno liberista è ormai un miraggio assoluto. Con l'euro e l'Europa bisogna dimenticarselo. Dominano i tedeschi che, tra le pochissime idee originali che hanno avuto, prevale quella dell'economia sociale di mercato». Tu quoque. Eri l'anima liberale del centrodestra e ti sei arreso! «Prendo atto che la Storia ha piegato altrove». Alternanza destra-sinistra? «Superatissima». Da quando? «Negli ultimi due, tre anni con l'egemonia della Germania». È un bene o un male? O sei troppo cinico per chiedertelo? «È, innanzitutto, ineluttabile. Nel tempo, sarà però un male perché si mette la sordina alla democrazia liberale, per lasciare il posto a una democrazia mediatico-plebiscitaria». Insomma, così va il mondo? «Esatto. Basta guardarsi attorno. Gli Usa, con un mediocre come Obama, non sono più l'alfiere della democrazia liberale. Il Mediterraneo è l'Isis. L'Africa è colonizzata dalla Cina comunista. L'Asia, idem. La Russia che pare un anticorpo in questo scenario, ha però il piglio zarista di Putin». È la disfatta liberalismo? «È la sua messa in quarantena. I valori liberali sono attualissimi, ma le sue istituzioni decrepite. La tripartizione dei poteri di Montesquieu, fa ridere i polli. Oggi, la separazione andrebbe fatta tra i tanti poteri sorti nel frattempo». Sei talmente avanti che ti sembreranno patetici i dibattiti di Fi sul «recupero dello spirito del '94»? «Fi nel '94 aveva un nemico: il residuo di comunismo. Se l'avversario è chiaro, è tutto semplice. Ora, l'avversario è la debolezza italiana nei confronti dell'Ue. Qui, anche Silvio è impotente. La sola cosa da fare sarebbe contrastare Angela Merkel. Neanche il Cav ci ha provato. I risolini di Cannes sono venuti perché gatto e volpe sapevano che Berlusconi avrebbe abbozzato». I meriti imperituri del Cav? «Ha evitato l'egemonia comunista e messo le premesse del loro cambiamento. Ha trasformato i leghisti da secessionisti in federalisti». I demeriti che scontiamo? «Non ha pensato alla successione, né alla nascita di una classe di governo. Ha trascurato il futuro per egocentrismo». Per quale componente del centrodestra voteresti? «Ai miei occhi, nessuno ha meriti sufficienti per giustificare una preferenza rispetto agli altri e meritare il mio piccolo voto». Chi tra Renzi, Grillo e il Cav sarà ancora in sella tra due anni? «Mi auguro Renzi, su cui nutro molte speranze. Spero però che, nei due anni, impari molto. Ha ancora limiti visibilissimi». Mi hai spiazzato: non ti pensavo così drastico. «Urlo il mio pessimismo perché voglio una reazione». intervista di Giancarlo Perna

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