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Trattativa Stato-Mafia e il retroscena sul tentativo di golpe del 1993

Ignazio Stagno
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Telefoni muti e linee bloccate. L'Italia nel 1993 avrebbe rischiato un golpe. E' questo il retroscena che emerge dalla deposizione di Giorgio Napolitano davanti ai pm nel corso del processo sulla trattativa Stato-Mafia. Il presidente della Repubblica avrebbe ricordato le ipotesi sulle strategie mafiose del ‘93 sebbene l'interpretazione dei fatti sia "materia opinabile", e i timori di Ciampi (all'epoca capo del governo) per un possibile colpo di Stato. La notte delle bombe, come racconta il Corriere, ci fu un black out telefonico, tipico ingrediente del golpe come riportato in un libro degli anni Settanta citato da Napolitano. Una situazione di "fibrillazione" e attacco frontale allo Stato che però - nella ricostruzione del presidente - non impedì una prosecuzione della "lotta senza quartiere" alla mafia, non inficiata dalle minacce personali: lui e gli altri responsabili istituzionali avevano vissuto la stagione del terrorismo "quando non volavano solo minacce ma anche pallottole, e servire il Paese significa anche mettere a rischio la propria vita". L'attentato - Infine Napolitano avrebbe riportato ai pm le "voci" di attentato ai danni suoi o di Giovanni Spadolini raccolte dal Sismi nell'estate del 1993; ricorda che gliene parlò l'allora capo della polizia Vincenzo Parisi, affidandogli una discreta sorveglianza da parte dei Nocs durante una sua trasferta parigina; e ricorda anche di aver cambiato abitazione, trasferendosi nell'alloggio di Montecitorio, perché casa sua era in un vicolo di Roma dove sarebbero state a rischio altre persone.

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