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Il giurista: ecco perchè "bastardi islamici" è un titolo inattaccabile

Matteo Legnani
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La vicenda che ha interessato il nostro direttore a seguito del massacro terroristico di Parigi e del titolo «bastardi islamici» si presta alle considerazioni del giurista: considerazioni che prescindono da ogni forma di strumentalizzazione o di pregiudizio ideologico, ma si fondano sul dato giuridico-costituzionale sul quale riposa la democrazia del nostro Paese. L' articolo 21 della Costituzione permette al cittadino di esprimere pubblicamente il proprio pensiero usando tutti gli strumenti di comunicazione, in vista del diritto di tutti ad essere pienamente e correttamente informati su quanto accade nel Paese e nel mondo. La diffusione del pensiero è essenziale per la realizzazione dell' interesse generale alla divulgazione delle idee. Un limite di carattere generale può derivare dall' articolo 3 che tutela la dignità umana e non tollera espressioni che offendono la reputazione delle persone: vale a dire l' onore e il decoro che sono tutelati dalle norme penali che puniscono i reati di ingiuria, diffamazione e oltraggio. Se, dunque, il problema va circoscritto nel modo appena detto, le polemiche scatenate dalla citata titolazione non hanno alcun fondamento giuridico. Anzitutto, i concetti di onore e decoro vanno interpretati con un criterio di relatività storico-temporale, per cui gli stessi comportamenti possono assumere carattere offensivo in una determinata epoca e non in un' altra. L' esempio tipico è quello relativo all' uso dell' epiteto «fascista» che, mentre in un determinato periodo di tempo aveva un significato elogiativo, ora, di regola, costituisce offesa. La relatività della nozione di onore è propria in generale di tutti i beni che sono collegati al contesto storico, sociale e politico di riferimento. In secondo luogo, non sussiste delitto contro l' onore in caso di offesa collettiva, resa cioè nei confronti di gruppi di persone difficilmente delimitabili già in astratto (esempio «preti» e «intellettuali di sinistra»), non potendo i singoli soggetti considerarsi personalmente offesi. La dottrina distingue fra offese apparentemente collettive riferibili a singoli appartenenti del gruppo presi di mira e perciò punibili e offese realmente collettive, riferibili astrattamente a tutti o alla generalità dei membri del gruppo e perciò non punibili. In terzo luogo, la valutazione della portata diffamatoria di un articolo deve essere complessiva e non limitarsi all' esame del titolo. La giurisprudenza ha infatti affermato che nel caso del delitto a mezzo stampa non basta far riferimento al solo titolo in quanto, a parte la considerazione che la compilazione del titolo è di norma opera redazionale, esso va interpretato alla luce del contenuto dell' intero articolo e non da questo avulso. In quarto luogo, se è vero che il requisito della verità è richiesto anche nell' ambito specifico della critica politica, non è men vero che rileva solo quando da generiche espressioni politiche si passa all' analisi di fatti determinati. Solo in quest' ultimo caso infatti, se si trascende e non si rispetta la verità obiettiva, la competizione politica diventa un' occasione per aggredire la reputazione altrui. Per quel che concerne infine il diritto di critica, occorre che la divulgazione avvenga in termini di adeguatezza, rispettando il limite della continenza intesa come moderazione, proporzione e misura. La giurisprudenza però afferma che tale concetto non va inteso in senso assoluto per cui non possono ritenersi vietati coloriture o toni aspri e polemici rientranti nel costume e termini genericamente offensivi che non siano sovrabbondanti ai fini del concetto da esprimere. Come si vede, da qualsivoglia aspetto analizzato, il pezzo a firma di Maurizio Belpietro si colloca perfettamente nel legittimo esercizio della libertà di stampa e nel diritto costituzionale alla libera espressione del pensiero: diritti che in democrazia non tollerano alcun discrimine. Se, poi, dal terreno giuridico passiamo all' analisi terminologica (cd. dato linguistico), il giudizio non muta. Dire «bastardi islamici» è concetto ben diverso da quello eventualmente racchiuso nell' espressione capovolta «islamici bastardi». In questo secondo caso si potrebbe anche immaginare che tutti i soggetti di fede islamica meritino l' appellativo di «bastardi». Nel caso di Libero invece, la conclusione non può non essere diversa in quanto il «bastardi» si riferisce ai terroristi e la parola «islamici» ne sottolinea semplicemente il credo di appartenenza. La conclusione è purtroppo quella che capita di dover fare innumerevoli volte. La libertà è un bene di tutti e non un valore da adattare a seconda delle circostanze e dello schieramento politico di appartenenza. Di Bruno Ferraro* *Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione

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