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Papa Francesco, il vescovo Cavina è vicino a Ratzinger e l'Espresso lo massacra: è innocente e si dimette

Giulio Bucchi
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Prendi un vescovo innocente e pieno di scrupoli, la cui unica preoccupazione è proteggere i propri fedeli. Isolalo dagli altri presuli: Francesco Cavina, così si chiama, è vicino a Joseph Ratzinger e ai paladini della famiglia che tre mesi fa si radunarono a Verona, e non ha problemi a dire che bisogna salvaguardare «i diritti delle persone a non emigrare». Dunque una mosca bianca, di questi tempi. Mettigli contro L' Espresso, con quel modo di fare giornalismo carico di allusioni, tanto più abbondanti quanto più scarno è il materiale in cui rimestare. Il risultato è lo scempio culminato ieri nelle dimissioni del 64enne monsignore dalla diocesi di Carpi, che gli era stata affidata nel 2011 proprio da Benedetto XVI. Leggi anche: "Ma chi si crede di essere?". Maria Giovanna Maglie durissima contro Bergoglio Cavina lascia «per il bene della Chiesa», ha spiegato, perché «il vescovo non può essere costretto ad affrontare uno stillicidio mediatico, che, basandosi su un' informazione faziosa, instilla nei fedeli e nella gente dubbi e sospetti». Libero finalmente di sfogarsi, ha raccontato che gli anni a Carpi «sono stati segnati da continui tentativi di delegittimazione, nonché, negli ultimi tempi, da intercettazioni telefoniche a seguito di denunce di presunti reati alla procura». Conversazioni che finivano dritte in pasto ai giornali. L' intera indagine, ha accusato, «si è contraddistinta per una diffusione mediatica, in tempo reale, di parte dell' attività degli inquirenti, anche quando si versava in pieno segreto istruttorio». «Si è arrivati a pubblicare il contenuto di telefonate legate al mio ministero sacerdotale ed episcopale», ha denunciato, riferendosi alle testate locali che hanno fiancheggiato la campagna dell' Espresso. Accuse ridicole - Persino dopo il 7 maggio, ad archiviazione ottenuta, «la gogna mediatica non si è interrotta». A quel punto non ha potuto fare altro che andarsene. Jorge Bergoglio ne ha preso atto «con dispiacere», nominando amministratore apostolico di Carpi l' arcivescovo di Modena Erio Castellucci. Che le accuse nei confronti di Cavina fossero ridicole lo si capiva già dal primo articolo apparso sul settimanale a gennaio. Il vicesindaco Simone Morelli, renziano al quale si attribuisce un flirt con la Lega per mettere nel sacco il Pd, finisce in un' inchiesta giudiziaria. E l' indagine, si legge, «potrebbe lambire il palazzo del vescovo», il quale «da quando è arrivato a Carpi ha stretto alleanze e cercato sponde politiche. Tra questi c' è certamente Morelli». Il legame tra i due avrebbe portato all' affidamento diretto a un' azienda dell' appalto per l' organizzazione di uno spettacolo. «Il concerto delle fontane, annunciato con grande enfasi dal vescovo, è stato dato senza gara a una società per 15mila euro. Soldi pubblici con cui il vicesindaco e assessore Morelli ha voluto sostenere l' iniziativa religiosa. Questo scambio, ipotizzano gli inquirenti, potrebbe celare il voto di scambio». Trama flebile, importo irrisorio. Eppure ad aprile, in piena campagna elettorale, l' assalto viene rinnovato, assai più duro. Titolo strillato: «Il patto tra il vicesindaco e il vescovo di Carpi prima delle elezioni. Appalti e favori in cambio di consensi». Sotto, la stessa solfa di tre mesi prima, con un' unica aggiunta: «L' Espresso è in grado di rivelare che anche il vescovo è indagato per corruzione elettorale, ma la procura si appresta a chiedere al gip l' archiviazione». Che infatti sarebbe stata decisa pochi giorni dopo. Il silenzio della Cei - Una non-storia, dunque. Che però è bastata a crocifiggere un uomo. Il Centro di studi giuridici intestato a Rosario Livatino insorge contro «l' illegale e mai sanzionata propalazione degli esiti delle intercettazioni, in stretto collegamento col fango messo in circolazione in modo sistematico sempre dalle stesse testate giornalistiche». L' Osservatorio della Camera Penale di Modena ricorda che gli atti investigativi diffusi ai quattro venti «avrebbero dovuto rimanere segreti anche e soprattutto a garanzia della presunzione di innocenza» e chiede di «individuare i responsabili di tali gravi violazioni». Silenzio dalla Chiesa e dalla Conferenza episcopale, ma questo non stupisce. A pagare, alla fine, è stato l' unico innocente. Storia ignobile che fa riflettere su tante cose e offre materiale in abbondanza a un ministro della Giustizia che voglia difendere il nostro diritto a non finire appesi in macelleria, quindi non ad Alfonso Bonafede. di Fausto Carioti

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