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Esercito italiano, Stato Maggiore contro unità di terra: scontro tra generali, perché si scatena il caos

Mirko Molteni
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Negli ultimi giorni il governo italiano ha approvato la fornitura all'Ucraina di armi con cui contrastare l'invasione russa, ma il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha tenuto uno stretto riserbo sul tipo e la quantità dei sistemi che invieremo ai militari di Kiev. Siamo l'unico grande paese occidentale che non rivela ufficialmente ciò che manderà a una nazione che, pur non essendo formalmente nostra alleata per il vincolo della Nato, viene considerata comunque afferente al mondo occidentale, perlomeno quanto ad aspirazioni di appartenenza. Numerose sono state le ipotesi e le illazioni circa il tipo di armi che potremmo inviare agli ucraini. E ci si chiede se, a seconda delle modalità di tali forniture, ci possano essere conseguenze negative sull'efficienza della nostra stessa difesa, nello specifico per quanto riguarda lo stato degli arsenali dell'Esercito, dato che, la prevalente guerra terrestre in Ucraina fa sì che saranno soprattutto le armi da fanteria a dover costituire la maggioranza degli aiuti. Se infatti agli ucraini verranno consegnate prevalentemente armi delle generazioni più vecchie, ancora presenti in gran numero nei magazzini e la cui conservazione, unita a una certa semplicità tecnica, consente ancora un loro uso efficiente dopo vari anni, è presumibile che l'Esercito avrà punto o poco da ridire in materia. Ma il caso sarebbe probabilmente diverso se si decidesse di inviare armi di ultima generazione, più costose e magari già di per sé poco numerose. Armi che magari le forze terrestri italiane hanno potuto acquisire col contagocce negli ultimi anni stante la ristrettezza dei bilanci della Difesa.

 

 


BORBOTTII
Se nuovi sistemi, attesi per anni e finalmente arrivati ai reparti, finissero con l'essere subito "soffiati" e dirottati all'estero, sono prevedibili perlomeno dei borbottii fra le alte sfere delle Forze Armate. Fonti riservate hanno riferito a Libero di divergenze di opinione fra lo Stato Maggiore della Difesa e lo Stato Maggiore dell'Esercito a questo proposito. Abbiamo contattato telefonicamente e via mail l'Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione dell'Esercito, per sottoporre il quesito, ma non è giunta risposta. D'altronde è comprensibile il riserbo, dato che i dettagli delle consegne sono secretati. Sul tipo di armi che dal Belpaese dovrebbero prendere la via di Leopoli e Kiev molto si è elucubrato. Si è parlato dei missili antiaerei Stinger, i piccoli missili spalleggiabili a ricerca infrarossa che, una volta lanciati da un soldato, si avventano su aerei o elicotteri a bassa quota attirati dal calore dei loro motori. Risalgono agli anni Ottanta e infatti già dal 1986 l'America di Reagan li elargì ai mujhaeddin che si opponevano all'invasione sovietica in Afghanistan. Gli Stinger, costituiti dal tubo lanciatore e dai missili di ricarica, sono ancora oggi in servizio e ben conservati, ancora di recente vengono sparati in esercitazione in poligono.

 

 


Simile il caso dei missili anticarro Milan, di origine franco-tedesca, anch' essi risalenti alla Guerra Fredda e consegnati all'Italia a suo tempo in un altissimo numero, ben 17.000 missili e 716 lanciatori. Se all'Ucraina andasse parte di queste armi, la grande disponibilità numerica non creerebbe problemi al nostro Esercito in fatto di ammanchi dalle riserve nazionali. Idem per quanto riguarda altri tipi di vecchie armi evocate in questi giorni dagli organi di stampa, come le classiche mitragliatrici campali MG calibro 7,62 mm, o le mitragliatrici pesanti Browning da 12,7 mm, che se ben conservate possono funzionare benissimo anche dopo mezzo secolo in una cassetta. Anche del lanciarazzi anticarro tedesco Panzerfaust 3 l'Italia dispone di moltissimi esemplari, forse 17.000, e ci si può permettere di cederne un po' a Kiev, come anche il similare LAW americano, entrambi efficaci però se sparati contro un carro nemico da distanze di 200-300 metri, che espongono a notevoli pericoli.

 

 

 

Ma si è parlato anche del moderno missile anticarro israeliano Spike, che i nostri Esercito e Marina hanno ricevuto a partire dal 2009 in un numero di esemplari assai più ridotto dei sistemi più vecchi, poco più di 2000. Lo Spike è più simile all'americano Javelin e assicura una capacità di colpire i carri nemici anche da alcuni chilometri, da 2 a 8 km a seconda delle versioni, e con modalità "lancia e dimentica", tale per cui l'operatore deve solo tracciare il bersaglio all'inizio, poi il razzo fa tutto da solo. Essendo lo Spike una delle armi anticarro più moderne in dotazione ai nostri reparti, sarebbe comprensibile se molti ufficiali storcessero il naso nell'ipotesi di privarsene così facilmente. Al di là di mere ipotesi, comunque, l'aiuto militare italiano a Kiev dovrebbe evitare di assottigliare risorse cruciali perla nostra difesa. 

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