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Messina Denaro, Vittorio Feltri: il medico non ha più colpe dei vicini di casa

Vittorio Feltri
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Accadono cose in Italia che a prima vista sembrano tragiche e che, se poi esaminate con senso critico, sono addirittura paradossali se non addirittura ridicole. La vicenda di Messina Denaro, che ha trascorso oltre la metà della propria vita scellerata quale padrino di mafia latitante, ha degli aspetti che a noi del Nord sembrano di una comicità ai limiti della follia. Ogni quotidiano ieri ha riportato che il medico curante del famigerato criminale è stato arrestato con una motivazione assurda: tra i suoi assistiti, numerosi, c’era anche il boss. Secondo gli inquirenti il dottore sapeva che il perfido paziente era un signore ricercato da una trentina di anni. Pertanto è stato ingabbiato per favoreggiamento.

 

 

A me pare che un sanitario che abbia fatto il giuramento di Ippocrate sia tenuto a soccorrere qualsiasi malato a prescindere dal fatto che sia una brava persona o un instancabile farabutto. Pertanto il dottor Tumbarello, 70 anni, medico di base a Campobello di Mazzara, è stato chiuso in carcere quale complice di Matteo Messina Denaro. Stando alla legge invece di curare il bandito secondo coscienza professionale, avrebbe dovuto non chiamare magari la Croce Rossa per farlo ricoverare, bensì avvertire la caserma dei carabinieri affinché fosse finalmente arresta to. Siamo alla follia pura. Un signore che indossa il camice bianco non credo sia tenuto a verificare la fedina penale di un malato, cerca di guarirlo e basta. Non possiamo pretendere che lì per lì si trasformi in collaboratore di giustizia. Obiezione dei magistrati che ne hanno ottenuto la cattura: ma lui sapeva che il paziente era un criminale pertanto era suo dovere favorirne l’arresto.

 

 

Il ragionamento fila, anzi filerebbe se tutti gli abitanti di Campobello, paesino siculo di poco più di 10 mila abitanti, fossero stati spediti in galera, poiché nessuno di essi ignorava chi fosse quel tizio che gironzolava sereno e beato in quel borgo, e cioè il capo di Cosa nostra. I quali non mi vengano a dire che non conoscessero la autentica identità di quel tizio che poi è stato blindato fuori da un ospedale dove si recava perché afflitto da un cancro, che se decide di aggredirti se ne frega del mestiere che fai, il ladro o il missionario. Insomma, dato che siamo giornalisti e quindi un po’ scemi sebbene non del tutto, ripetiamo, siamo convinti che nel piccolo comune di Campobello perfino i cani, i gatti e le galline sapessero la verità: e cioè che l’individuo affetto da tumore fosse un clamoroso delinquente ma che nessuno osasse denunciarlo nel timore di fare una brutta fine. Alfonso Tumbarello, cui va la nostra solidarietà, per gli inquirenti era l’unico a sapere chi fosse quel suo paziente, cioè un fetente. Inutile insistere: non crediamo alle favole. E chiediamo per senso di giustizia di ammanettare tutti i cittadini del paesello, oppure la scarcerazione del povero dottore.

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