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Papa Francesco scomunica la sinistra: le parole in Ungheria

Renato Farina
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Papa Francesco ieri ha fatto visita alla Casa del Diavolo. Questa infatti è l’Ungheria per l’establishment, cioè i capataz, dell’Unione Europea. Il male assoluto abita qui. E a rimestare il pentolone dell’orrore è Viktor Orban, il premier. Che ci fa il Papa dalle sue parti? Già l’aver accettato l’invito da parte del Pontefice era stato visto as sai male. L’apparato che stende il suo potere sui 27 Paesi, e pretende di conformare al suo pensiero unico e bituminoso popoli e governi, aveva negli ultimi giorni inoltrato i suoi pizzini. Quello che succede in Ungheria (e sta contagiando Polonia e Italia) è la perfetta negazione dei diritti umani. Questo il messaggio univoco. Il Parlamento europeo ha condannato Budapest, si appresta a sanzioni tremende, e peccato che non si possa espellere l’Ungheria per indegnità, magari però si potrebbero creare le condizioni per costringerla ad uscire, rendendole la vita impossibile, unendo in un grido unanime di indignazione le masse cloroformizzate, il famoso popolo bue che si nutre di qualsiasi intruglio propagandistico. Bisogna uccidere la reputazione di questa nazione ribelle: sta schiavizzando i bambini negando l’apprendimento della cultura gender.

Che fa il Papa? Si allinea? Wojtyla, anzi Bergoglio, scusate il lapsus, ma ieri si è vista all’opera l’impressionante, e imprevedibile, continuità dei tre Papi di questo millennio. L’Europa non può non avere l’impronta del suo battesimo. L’unità continentale ha da essere piena dei colori nazionali, pluriforme, deve essere armonia di differenze. E la prima differenza da tutelare è quella dell’essere maschi e femmine. Un colpo di genio dialettico del Santo Padre. Che ha picconato- come è possibile leggere dall’antologia del suo primo discorso - le fondamenta (poco) ideali e (molto) menzognere su cui si regge il progetto di società perfetta nella sua sottomissione al potere che impone la monocultura, omogeneizzata come la crosta della crème caramel. La frase chiave è la condanna del «sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli».

 

CIVILTA' DELL'AMORE 

Le condanne dell’aborto, che il Papa ha sottolineato non essere un diritto, e del gender, che non è per il bene delle persone ma per la colonizzazione delle nazioni, erano concetti che Francesco ha sempre esternato, ma venivano considerati come tic cattolici in fondo perdonabili: basta nasconderli, infilarli in una cappellina laterale. A Budapest questi argomenti si è visto che non sono parti smontabili, una sorta di optional, di una visione antropologica e morale. Ma sono indisgiungibili da una civiltà dell’amore. Questi giudizi non sono per dannare qualcuno, per allontanarlo dalla comunità se la pensa diversamente. Ma in questo momento i cannoni del potere sono tutti puntati sull’Ungheria, e proprio perché il suo governo sostiene una visione della famiglia, e un sostegno alla natalità, che è una benedizione. Per questo Bergoglio è andato a casa del diavolo e, invece di praticare un esorcismo, gli ha dato una benedizione. Certo con questioni aperte e decisamente problematiche: l’accoglienza dello straniero! Essa, dice Francesco, è propria dell’insegnamento del primo re di Ungheria, Stefano, che la Chiesa cattolica onora come santo. La visione evangelica, che è la sola davvero umana, tiene insieme tutto questo, e che allora Orban promuova accoglienza a dei migranti, e l’Europa prenda sul serio tutta insieme questo dramma epocale e complicato. Ma l’Ungheria ha diritto di essere se stessa.

 

IMPARATE DA ORBAN

Dice Francesco: «Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dovevi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno». Imparare dall’Ungheria, dunque. Elogia la Costituzione quando dichiara: «Rispettiamo la libertà e la cultura degli altri popoli, ci impegniamo a collaborare con tutte le nazioni del mondo». Essa afferma ancora: «Le minoranze nazionali che vivono con noi fanno parte della comunità politica ungherese e sono parti costitutive dello Stato», e si propone l’impegno «per la cura e la protezione [...] delle lingue e delle culture delle minoranze nazionali in Ungheria. È veramente evangelica questa prospettiva, che contrasta una certa tendenza, giustificata talvolta in nome delle proprie tradizioni e persino della fede, a ripiegarsi su di sé». Ancora: «Il Testo costitutivo, in poche e decisive parole impregnate di spirito cristiano, asserisce inoltre: “Dichiariamo essere un obbligo l’assistenza ai bisognosi e ai poveri”». Così Francesco ha scardinato con un discorso possente e insieme mite il potere dispotico dei padroni del pensiero. E ha incardinato i principi di un’Europa antica, l’unica con un futuro decente, almeno un po’ cristiana.

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