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Massimo Segre, non solo corna: dalla procura una bomba giudiziaria

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Ne valeva la pena? Forse se lo sta chiedendo Massimo Segre, il manager finanziario che ha pubblicamente additato la sua compagna, Cristina Seymandi, di infedeltà, trasformando la festa per il compleanno di lei in un’atroce vendetta. Il suo je accuse sembra che gli sia ritorto contro in termini economici (la ex farà causa). ma anche e soprattutto in termini di reputazione e credibilità. E già perché nel mettere alla gogna la fidanzata infedele di fatto ci è messo anche lui. Ma differenza di Cristina Seymandi che è diventata all'improvviso una delle protagoniste del gossip ferragostano, Segre ha mandato a farsi benedire la sua reputation, che per un manager vale più di ogni altra cosa. 

 

 

Andando a spulciare tra i suoi affari Repubblica ha infatti scoperto che è coinvolto in una questione giudiziaria come presidente, insieme a un altro importante amministratore, della Directa Sim, la società di intermediazione mobiliare, che si definisce “pioniera del trading online in Italia e uno dei primi broker al mondo”. L’accusa della procura è duplice, abusivismo bancario e finanziario: a giugno gli uomini della guardia di Finanza (nucleo di polizia valutaria di Roma) hanno effettuato una perquisizione che ha reso note le contestazioni agli indagati, otto in tutto.

 

 

L’indagine del pm Mario Bendoni, rivela Sarah Martinenghi su Repubblica, ha preso in esame il periodo tra il 2019 e il 2022: in questi anni Directa Sim si sarebbe di fatto comportata da banca, attuando un’ingente raccolta di risparmi, senza poterlo però fare. Non risulta infatti iscritta negli albi ed elenchi di vigilanza per poter svolgere queste operazioni. E al contempo, non risulterebbero, secondo l’accusa, ordini di trasmissione dell’attività di intermediazione che avrebbero dovuto essere il fulcro della loro attività finanziaria. Eppure sarebbe emerso che decine di banche, di medio calibro, avrebbero dato in deposito a Directa Sim i risparmi dei loro clienti e che la società avrebbe poi girato quei flussi di denaro ad altri istituti di credito che si trovavano bisognosi di liquidità.

 

 

Un giro di affari quantificato in oltre 800 milioni di euro. Il guadagno sarebbe derivato dalla differenza tra gli interessi passivi e quelli attivi, tra quelli cioè applicati dalle banche che affidavano all’intermediaria i loro patrimoni, e quelli poi applicati nel prestito successivo. Il sospetto degli investigatori, si legge su Repubblica, è che gran parte delle provvigioni siano andati a dei “segnalatori di pregio”, figure intermediarie che avrebbero però “girato” il denaro, dietro allo schermo di mere consulenze, a due società, che sarebbero entrambe riconducibili però proprio a un amministratore di Directa e a un altro manager.

 

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