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Queer, la rivendicazione della diversità? Alle origini della parola

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Massimo Arcangeli
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In un saggio per Einaudi (God Save the Queer. Catechismo femminista, 2022) aveva definito il queer una «categoria (...) inclassificabile, mobile, ontologicamente incerta» (p. 12). Ai suoi occhi il modello linguistico sottostante all’uso dello schwa («La lingua di questo libro cerca di corrispondere alla massima pluralità che le è possibile nel momento del suo sviluppo», p. 7) esprimeva quella stessa “queerità” (queerness) che l’aveva portata a mettere su perfino una queer family, un nucleo familiare “fluido” e anticonvenzionale (quattro “figli d’anima” e poi amici, sodali e colleghi, tutti “sposati” fra loro). 

L’oltranzista genderqueer Michela Murgia si era “immadronita” inizialmente dello schwa nel 2021, in un articolo per “L’Espresso” (Perché non basta essere Giorgia Meloni, 7 giugno) e in un romanzo scritto con Chiara Tagliaferri (Morgana. L’uomo ricco sono io) e pubblicato – tre mesi dopo – da Mondadori.

A suo tempo queer, insegna della rivendicazione politicamente scorretta della propria diversità di genere, è stata la risposta “politica” agay del movimento omosessuale americano che ha abbracciato la decostruzionista queer theory (alla lettera: “teoria frocia”). La locuzione spregiativa, menzionata per la prima volta da un’accademica italiana, Teresa de Lauretis, nell’occasione di una conferenza tenuta in California (1990), all’Università di Santa Cruz, fa riaffiorare alla mente una vicenda italiana di qualche anno addietro: il 7 febbraio 2019, sui muri e sulle scale esterne di un istituto superiore brindisino, comparvero scritte omofobe indirizzate a uno studente minorenne e i suoi compagni, per tutta risposta, riempirono la facciata della scuola di striscioni con l’hashtag #siamotuttifroci. 

 

Alla base di tutto questo c’è il reverse discourse. Responsabile dell’evoluzione semantica del tedesco Schwul (sempre ‘frocio’), ormai svuotato di ogni valore insultante e divenuto anzi di uso corrente, è stato incamerato anche dagli afroamericani tornati a riappropriarsi di nigger (‘negro’) sulla scia delle attiviste del movimento Women’s Liberation che, negli anni Settanta, si erano definite bitches (‘cagne, puttane’).

 

 

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