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Fano, si scava per trovare l'altra Pompei

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Simona Zerboni
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Mentre ci accoglie si scusa per le mani ancora sporche di terra. È quasi mezzogiorno e Agata Aguzzi impugna la trowel, una specie di cazzuola - strumento simbolo di tutti gli archeologi- che consente di rimuovere porzioni di terreno senza danneggiare eventuali reperti. È lei l’esperto incaricato dalla Soprintendenza che dal giorno del ritrovamento passa intere giornate, quasi sette giorni su sette, all’interno dell’area di scavo più importante che abbiamo attualmente in Italia. È proprio quella porzione di territorio marchigiano che potrebbe regalare alla città di Fano e al mondo intero la scoperta del secolo: ovvero il ritrovamento della basilica di Vitruvio. Alla domanda che la cronista le pone su quale sarebbe l’elemento decisivo che vorrebbe trovare lei risponde senza esitazione: «Un’iscrizione latina ci racconterebbe molto, andando così a rafforzare quelle che al momento restano delle ipotesi».

L’archeologa, 46 anni, originaria di Cagli, piccolo centro in provincia di Pesaro e Urbino, con un trascorso in Libia dove ha scavato a Cirene, è appena uscita da uno dei cinque “saggi” scavati per cercare nuovi elementi a supporto di un’ipotesi che, se confermata, trasformerebbe questo luogo nell’eldorado di ogni archeologo e storico di epoca romana. La basilica di Vitruvio era, secondo le fonti, un edificio pubblico dell’insediamento Fanum Fortunae che fu costruito nel I secolo a.C di cui il trattatista latino parla nel De architectura.

LA SCOPERTA
Dal giorno del rinvenimento qui nel centro di Fano all’interno di un cortile si sono alternati decine di studiosi oltre ai carabinieri del Tutela del Patrimonio culturale. Mentre fuori dal cancello - tutta l’area è stata transennata e dotata di allarme anti-intrusione - cittadini, turisti, curiosi e appassionati si sono dovuti accontentare di guardare attraverso le barriere, cercando di scorgere la magnificenza dei marmi emersi da secoli di terra e storia. Operazione tuttavia impossibile, poiché qui è tutto blindato.

La cittadina, perla storica dell’Adriatico, importante centro anche durante il Medioevo con i Malatesta, attualmente terzo centro abitato delle Marche in ordine di grandezza con i suoi 61mila abitanti, punto di arrivo della via Flaminia sulla costa adriatica, ai tempi dei romani era denominata «colonia Iulia fanestris» con le sue domus collocate a destra del decumano maggiore e gli edifici pubblici nella parte sinistra. Ed è proprio lì che a marzo scorso, durante alcuni scavi per ampliare un edificio ottocentesco in cui un costruttore avrebbe voluto realizzare alcuni appartamentini, è stato trovato, a circa due metri di profondità, un pavimento che ha fatto sobbalzare i massimi esperti di archeologia romana: lastre di marmo cipollino e pavonazzetto, di colore verde e giallo, un materiale pregiato coerente con le rifiniture che gli esperti ritengono possano avere rivestito la superficie della basilica.

Non un edificio religioso, sia chiaro, poiché per gli antichi romani la basilica aveva una destinazione d’uso ben diversa da quella voluta per il culto dai primi cristiani. L’area è stata subito sequestrata ed ora è la “Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della provincia di Pesaro e Urbino e Ancona” a gestire «l’attività di scavo, di documentazione e disseminazione dati», con il Ministero della Cultura che osserva attentamente l’evoluzione dei lavori. La prima fase si è appena conclusa e l’ultimo ritrovamento in ordine di tempo è una sepoltura di età medievale, anche se una datazione più precisa sarà possibile solo dopo avere sottoposto le ossa di uno scheletro perfettamente conservato all’esame del Carbonio14. 

La recente visita del sottosegretario Vittorio Sgarbi ha consentito agli esperti di far il punto: il critico d’arte prestato alla politica ha chiarito di essere rimasto molto impressionato da ciò che gli scavi hanno fino ad ora restituito e a chi gli chiede un parere sulla cautela degli studiosi su un’attribuzione dei resti alla basilica vitruviana lui non ha dubbi: è indifferente se questa sia o non sia davvero la basilica di Vitruvio. Quel che è certo è che siamo di fronte ad un edificio di epoca romana di grande pregio anche dal punto di vista architettonico». Probabilmente la basilica potrebbe svilupparsi sotto un’area occupata da alcune abitazioni private e dal cinema teatro Politeama costruito nel 1910. Di certo il Comune di Fano non sta aspettando passivamente e guarda già al futuro cercando di integrare i tanti resti emersi recentemente nella zona, come il teatro romano trovato anch’esso in un’area, ora acquistata dal Comune per quasi 800mila euro, in cui un costruttore avrebbe voluto edificare un condominio.

IL FUTURO
Lavori bloccati e ora allo studio c’è il progetto voluto dal Sindaco di Fano Massimo Seri di un museo- costo dell’operazione circa 10 milioni di euro - ricavato all’interno dell’antica filanda ottocentesca costruita sopra ai resti archeologici. Proprio nel nuovo museo del teatro romano potrebbe essere anche accolto il bronzo dell’«Atleta di Fano» finito nel 1964 nelle reti di un peschereccio, attribuito allo scultore Lisippo e ora, attraverso il mercato clandestino, arrivato illegalmente, dopo vari passaggi di mano, al Getty Museum dove è esposto nella sala più importante a Malibù, altra città di mare, ma della California. Il capolavoro è stato per anni al centro di un braccio di ferro tra Stati Uniti e Italia. Confronto legale che ha vinto il nostro Paese: una sentenza definitiva ha infatti stabilito che il “Lisippo” debba tornare nella nostra nazione, probabilmente proprio nella città di Fano. «Il progetto del museo è alla nostra portata, magari con l’aiuto dello Stato e dei privati – ha commentato il primo cittadino fanese – e già a marzo 2024, in occasione di Pesaro Capitale della cultura, renderemo per la prima volta visitabile i resti del teatro romano». 

L’assessore alla Cultura, Cora Fattori, sogna un’intera area archeologica: «Vogliamo creare un percorso fruibile ai visitatori di Fano, non solo italiani, ma anche stranieri» che comprenda Basilica di Vitruvio, gli scavi di Sant’Agostino, il teatro romano e, a poco distanza, anche l’anfiteatro: «Anche questa struttura poteva ospitare fino a 4mila spettatori – spiega con entusiasmo il funzionario del Comune di Fano Claudia Cardinali – il che fa capire ancor meglio l’importanza e il ruolo chiave che aveva Fanum Fortunae nell’antica Roma, visto che era un insediamento da 8mila abitanti». Ora il team di studiosi progetta il futuro di Fano, affondando le radici nel passato affinché diventi, parole di Vittorio Sgarbi, come Pompei.

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