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Giornalismo, niente sarà più come prima: la "sentenza" dell'Ordine

Leporello
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Adieu, sinecura e senza laurea: niente sarà più come prima per il giornalismo nostrano, inchiavardato al suo bravo Ordine, figlio di un Albo che Mussolini volle e che nessun talentuoso democratico mai eliminò. La novità è che l’Ordine dei Giornalisti ha sentenziato l’obbligo di una laurea, magari triennale, ma laurea, per l’accesso alla professione.

Idea che d’acchito può probabilmente sembrare buona e giusta ma che, nella Patria dei “dottori” senza titolo, dei “fact checkers” senza qualifica e degli “analisti” senza né l’uno né l’altra, è un azzardo niente male, se solo si pensa alla arcinota professionalità delle fattucchiere nostre, i giornali di John Elkann, Carlo De Benedetti e la tivù di Urbano Cairo che infatti hanno ottenuto una norma non retroattiva. 

Del resto, scorrendo pompose “articolesse”, commenti e reportage, è chiaro che oggi come oggi non proprio di titolo accademico né di risibili “eventi formativi” (che niente e nessuno formano) ci sia urgenza per tanti giornalisti, ma di assidui ripassi di grammatica. Dopodiché, nel mentre già si immaginano orde di futuri professionisti all’inseguimento della corona d’alloro, c’è da fare i conti con questa dannata AI, altrimenti nota come “intelligenza artificiale”, che - abbattendo tempi e anzitutto costi rischia realmente di farlo sparire il mestiere. Che non è mai stato il più antico del mondo anche se spesso ci si è avvicinato.

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