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Giulia Cecchettin, il caso diventa un processo agli agenti

Alessandro Gonzato
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Chiamate la neurodeliri. Prima l’omicidio di Giulia Cecchettin era colpa del patriarcato delle destre. Ora anche delle forze dell’ordine. Sui social è il festival delle zucche vuote, e per certe servirebbe la camicia di forza. Un cretino, su “X” - il vecchio Twitter - scrive che l’assassinio della ragazza «è anche colpa dei carabinieri», e poi aggiunge: «Benissimo, fidiamoci delle istituzioni». Gli tiene bordone un invasato che parla di «omicidio di Stato», e prosegue: «Lo Stato non ci tutela». Andiamo avanti. Si aggrega un altro tale che al pari dei colleghi in testa ha il vuoto pneumatico: «Ormai i carabinieri fanno solo multe e picchiano i pischelli che manifestano. Quando abbiamo bisogno di loro», accusa, «sono più latitanti di Messina Denaro. Sarebbe da sciogliere il corpo perché sono una spesa inutile, e come nel caso di Giulia sono raccapriccianti». Certi commenti, sì, lo sono. Chi li scrive, spesso, coincide con chi incolpa tutta la categoria maschile del delitto (guardare per credere), e non l’unico responsabile, Filippo Turetta, l’ex fidanzato di Giulia.

TUTTI INVESTIGATORI

Ne spunta uno nuovo: «Per curiosità ho cercato la distanza tra il luogo in cui era stata segnalata ai carabinieri l’aggressione di Turetta e la caserma più vicina, e devo dire che gli sbirri italiani sono stati molto utili dall’inizio in questa vicenda». Tutti Sherlock Holmes. Tutti Tom Ponzi. Da sociologi esperti di patriarcato i giudici dei tribunali social sono passati al master in investigazione e criminologia. La moda di queste ore è dare contro alle divise. Commenti folli e isterici. Nessuno tra le zucche vuote che rinsavisca e ricordi quanti delitti quotidianamente sventano le forze dell’ordine, e quanti criminali arrestano, il numero di controlli che effettuano. Un caso su tutti, non per forza il più importante, fu quello di Anis Amri - era il 2016 - l’attentatore di Berlino, l’islamista più ricercato d’Europa fermato durante un pattugliamento notturno da due poliziotti a Sesto San Giovanni, nel Milanese. Era l’antivigilia di Natale e gli agenti risposero al fuoco, rischiando la vita, uccidendo la canaglia.

 

 

 

Gli odiatori web hanno messo nel mirino i carabinieri ma anche la polizia a cui, tra le altre cose, viene imputato di aver cancellato dal proprio account Instagram una serie di messaggi in cui alcune donne avrebbero segnalato - a seguito del caso di Giulia - esperienze personali di denunce contro gli uomini. La polizia, in un comunicato, smentisce «categoricamente»: «I messaggi sono tutti lì dal 19 novembre, quantomeno quelli che non vìolano la policy perché contengono parole volgari». Il prefetto Vittorio Rizzi, vice direttore generale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza della Polizia Criminale precisa all’agenzia LaPresse: «Le nostre iniziative contro la violenza di genere sono note da decenni e in alcuni casi sono state pioneristiche e hanno addirittura anticipato l’entrata in vigore delle leggi. Ed è anche merito della “femminilizzazione della Polizia di Stato», sottolinea Rizzi, «che su certi temi ha portato maggiore consapevolezza negli uomini. Abbiamo fatto tante cose in questi anni, ma Giulia è morta. Il dolore è troppo forte. La rabbia talvolta si trasforma in sfiducia nelle istituzioni, ma i messaggi non sono stati cancellati».

 

 

 

BUFALE E ANTI-ISRAELE

Niente. Vola fango sparato a potenza massima: le utenti denunciano che la polizia avrebbe sminuito le loro esperienze. «Non minimizzo mai la paura di nessuno», commenta il prefetto Rizzi, «qualunque dolore, da quello fisico a quello del cuore, merita rispetto e comprensione. Ma poi va oggettivizzato e gestito. Fa parte della professionalità, ma non significa sottovalutare». Qualcuno sui social pubblica fotomontaggi di messaggi-denuncia talmente falsi che è incredibile che qualcun altro possa prenderli sul serio. Ma ecco che sul vecchio Twitter si fa largo una o un utente, non è chiaro dall’immagine del profilo, che si chiama “Il folletto transfemminista for Palestina”: «La polizia che non raccoglie le denunce, non arriva quando viene chiamata e a volte addirittura abusa direttamente le donne è rappresentante dello Stato». Per fortuna “Il folletto transfemminista for Palestina” non rappresenta l’intero genere umano.

 

 

 

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