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Danilo Coppola, arrestato a Dubai il furbetto del quartierino

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È durata un anno e nove mesi la latitanza dell'imprenditore Danilo Coppola. L’immobiliarista, che ha raggiunto la notorietà con le scalate di Antonveneta e Banca Nazionale del Lavoro insieme a Ricucci e Statuto, è stato arrestato a Dubai negli Emirati Arabi come conseguenza di un mandato di arresto emesso in seguito alla condanna in via definitiva per il crac del Gruppo Immobiliare 2004, di Mib Prima e di Porta Vittoria, emessa a luglio del 2022.  Ma già a marzo aveva fatto perdere le sue tracce. Prima di andare negli Emirati Arabi Uniti, Coppola si trovava in Svizzera (dove pare sia rientrato anche di recente per un problema di salute) e le autorità elvetiche avevano negato la sua consegna all'Italia in relazione ad un'ordinanza di custodia in carcere per un altro procedimento per tentata estorsione sul caso Prelios. Per mesi, tra l'altro, l'immobiliarista, anche se latitante, ha postato video sui suoi canali social attaccando i magistrati di Roma e Milano che hanno indagato su di lui proclamandosi sempre "innocente".

Per Coppola, che deve scontare sette anni, il gip Chiara Valori ha disposto il sequestro preventivo del profilo Instagram in relazione all’accusa di diffamazione sostenuta contro di lui dal Banco Bpm. Da mesi, infatti, secondo il pm Maria Letizia Mocciaro che ha chiesto e ottenuto l’oscuramento dell’account Instagram dell’immobiliarista, Coppola ha pubblicato su quel social una serie di video nei quali attacca duramente i vertici dell’epoca della banca, a suo dire responsabili di aver utilizzato "gli strumenti legali allo scopo di estrometterlo dall’affare legato all’area della ex Stazione ferroviaria di Porta Vittoria con comportamenti che non esita a definire estorsivi", come si legge nel provvedimento del gip.

L’immobiliarista, ex azionista di Mediobanca e molto vicino alla famiglia Segre – i commercialisti di Carlo De Benedetti – era diventato noto alle cronache giudiziarie e finanziarie: sia per la calda estate dei “furbetti del quartierino, sia per l’inchiesta romana che nel 2007 lo aveva portato in carcere con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta, riciclaggio, falso e appropriazione indebita. Imputazioni dalle quali era stato assolto in appello nel 2013, dopo la condanna a sei anni in primo grado. Tre anni dopo, sempre a Roma, era invece arrivata la condanna a nove anni per la bancarotta fraudolenta relativa a un altro gruppo di società.

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