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Prima della Scala, l'identificazione? Una prassi in questi casi

Fabio Rubini
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 L’identificazione da parte delle forze dell’ordine dello spettatore che alla Prima della Scala ha urlato «W l’Italia antifascista» ha creato una serie di polemiche tanto infinite quanto inutili. Gli agenti che alla fine del primo atto gli si sono avvicinati chiedendogli le generalità, non l’hanno fatto per una forma eccessiva di zelo nei confronti delle autorità presenti in teatro, ma più semplicemente perché quella è la prassi regolamentata dalla legge italiana. Insomma gli agenti non hanno fatto né più né meno il loro lavoro. Fonti della Questura guidata da Giuseppe Petronzi, infatti, hanno spiegato che l’operazione di giovedì è stata «un’ordinaria attività di controllo preventivo per garantire la sicurezza della rappresentazione» e che «l’iniziativa non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata, ma dalle particolari circostanze, considerate le manifestazioni di dissenso poste in essere nel pomeriggio in città e la diretta televisiva dell’evento che avrebbe potuto essere di stimolo per iniziative finalizzate a turbarne il regolare svolgimento». Infatti una volta identificato l’uomo autore di quell’urlo, la questura ha potuto appurare «con certezza l’assenza di alcun rischio per l’evento».

Insomma una normale e comprensibile prassi. Provate a immaginare cosa sarebbe successo se da quella frase, poi, fossero scaturiti comportamenti lesivi per l’incolumità dei presenti. Polemiche e dibattiti sul atto che le forze dell’ordine avrebbero dovuto intervenire. Una semplice prassi fatta da professionisti e in maniera assai discreta, ha invece consentito che la Prima della Scala si svolgesse regolarmente e senza che nessuno s’accorgesse di nulla.

 


Gridare allo scandalo come ha fatto la sinistra è irriguardoso non solo per gli agenti in questione, ma anche per le autorità governative (prefetto e questore) che erano presenti in sala e che certo non avrebbero acconsentito a operazioni fuori dalla norma. A capirlo sarebbe bastato un po’ di buonsenso, che evidentemente non sta a sinistra.

Si legge anche così l’iniziativa parlamentare già annunciata dalla segretaria del Pd Elly Schlein, che si è detta pronta a presentare un’interrogazione parlamentare per chiedere conto di quanto fatto dalla Questura milanese. Poi ha ricondiviso un post sui social del Pd che urla allo scandalo e rilancia l’ennesima battaglia ideologica (destinata ad essere persa), al grido di «Adesso identificateci tutte e tutti. Continueremo a gridarlo, ovunque. Anche se non piace a Salvini». Miglior figura non ha fatto il sindaco di Milano Beppe Sala che sui social ha ironizzato: «Al loggionista che ha gridato “Viva l’Italia antifascista” ed è stato identificato, che gli si fa? Chiedo per un amico». Nulla sindaco, non gli si fa nulla, ma quel controllo è stato fatto per garantire anche la sua incolumità. Fratoianni, invece chiama in causa direttamente il ministro dell’Interno che «dovrà venire a riferire in parlamento. I funzionari dello Stato hanno giurato sulla Costituzione antifascista. Nessuno - conclude Fratoianni - dovrebbe mai dimenticarlo».

 

 

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