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Ferragni e Fedez, è il divorzio l'ultimo sogno degli italiani

 Ferragni e Fedez

Ginevra Leganza
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Dopo il matrimonio instagrammiano, è il divorzio l’ultimo sogno del ceto medio. E parliamo ancora dei Ferragnez, è chiaro (anzi è Chiara, è soprattutto lei: la matriarca)... Ma parliamo pure di coppie medie dove l’addio oggi è facile, troppo facile. Liscio-liscio come l’olio. Ma andiamo con ordine.


In principio furono le gonnelle di marca. Poi vennero la proposta, il matrimonio, l’abito di Maria Grazia Chiuri e il pupo-paggetto... Dopo le nozze arrivò la pupa, e cioè “la Vitto” (non si nasce a Cremona invano), e infine quel Sanremo di baci e occhiatacce. Ci fu il tempo del Bosco Verticale, quello delle serie tivù, e ancora l’èra di CityLife e del Pandoro Balocco.

Ed ecco. Adesso che tra i Ferragnez è crisi, scisma, separazione, la chiave di tutto è sempre la stessa. È la provincia italiana elevata al mondo. La provincia che prima la separava la morte, che adesso si separa da sé.

E dunque è già divorzio, sì, ma all’italiana. Perché con Chiara Ferragni s’è toccato per circa quindici anni un punto preciso. Ovvero quel punto a metà fra le muse celesti e le muse pedestri. Chiara Ferragni è stata la musa dell’Italia media, che è sempre donna ma di provincia.

 

 

Ovvia sin dal nome, Chiara ha incarnato il sogno dei semplici. E quindi s’è sposata come molte vorrebbero – e cioè come nostra cugina che il giorno della proposta s’è fatta riprendere con smarphone e droni (è tutto vero) e appena dopo il “sì” ha sbocciato, sparato fuochi e fatto l’Instagram story (tutto verissimo).

S’è sposata e ha fatto quel che farebbero le ragazze che guardano le vetrine di Zara se mai vincessero alla lotteria: svaligiare Vuitton.

La chiave del suo successo è sempre stata quella, ieri e oggi. Ieri che la coppia era un campo dei miracoli, oggi che la coppia si scoppia e ognuno fa da sé. Perché, dal matrimonio alla sua fine, Ferragni – tipo fatina: polvere di Zeitgeist – esprime sempre una realtà che riguarda il ceto medio italiano. E cioè il fatto che più il matrimonio s’ostenta, meno dura: vuoi perché, come scriveva René Girard, l’oscillazione-tutto nulla è la chiave del mondo moderno; vuoi perché, come diciamo noi, più grossa è la pensata, più grande è la minchiata. E dunque più si fotografa, più si sboccia, più si sciala, prima si sfascia.
E se pensate siano solo speculazioni le nostre, bronci contro il mito della coppia e i cuori fucsia di San Valentino (sudiamo freddo, sì), purtroppo vi sbagliate. Secondo alcuni dati raccolti e interpretati dallo statistico Roberto Volpi, pare ci sia infatti una correlazione fra il “matrimonio-monstre” – il canovaccio sponsale a metà fra i Windsor e “matrimonio gispy” – e la sua scarsa durata.

Volpi parte dal matrimonio religioso, oggi più frequente nel Mezzogiorno e fra persone giovani (nubili e celibi con tutta la vita davanti), le quali – ed eccoci al punto – quasi mai optano per il regime di comunione dei beni. In altre parole, il matrimonio è in chiesa, fra duomi, droni e cattedrali, ma poi i beni (mobili e immobili) sono accuratamente separati. Ché il divorzio è già lì. Dietro l’angolo. E quel che è tuo è tuo, quel che è mio è mio. Ed è l’addio come testacoda del “per sempre”... Del resto, “se non vi sposerete non potrete divorziare”, cantava Manlio Sgalambro, “questa cosa così bella, meravigliosa: pensateci!”. Ci pensiamo sì. Ai cenoni, ai testimoni, alla lista nozze e all’agenzia di viaggi. E poi alle traversate oltreoceano per tornare, ancora, all’amore mio di provincia... Ovvero al tinello dove tutto scuoce.

 

 

Interessante è notare poi, come sottolinea Volpi, che la separazione dei beni è più frequente là dove il titolo di studio è più basso. Negli ultimi vent’anni il regime che agevola il divorzio sarebbe quindi cresciuto di più fra gli sposi con licenzia media inferiore. E perciò, triste ma vero, più incline all’addio sembrerebbe oggi non chi ha casa a Gstaad ma chi guarda con noncuranza le vetrine di Zara. Ovvero la donna media che compulsa l’Instagram, colei che sogna “la Vitto” e “la Vuitton”. Lo chiamano divorzio. È il nuovo lieto fine del ceto medio arci italiano, che quando la nave affonda, lui l’abbandona. 

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