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Salone del Libro, ma quale svolta illiberale? Intellettuali mai così liberi

Luca Beatrice
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Mai respirata così tanta libertà! Dopo non so quanti decenni di marginalità, di silenzio costretto, di totale esclusione, nel 2024 anche una persona di destra può parlare di cultura. D’accordo, gli spazi sono quelli che sono, ancora ristretti, tocca farsi largo tra centinaia di persone che reclamano il posto fisso, non è certo una partita vinta, ma almeno qualche voce differente si sente e spero davvero ne arrivino altre, più fresche e con idee nuove.

Siamo ancora sul Salone del Libro di Torino e in particolare sul monologo di Antonio Scurati, promettendo da qui in avanti di ignorarlo per un bel po’ perché davvero ci ha stancato. Però su alcune sue parole vorrei ancora soffermarmi; ha parlato di “svolta illiberale”, secondo l’Enciclopedia Treccani illiberale è ciò che contrasta con i principî di libertà che sono il fondamento dello spirito e delle concezioni liberali. Cosa c’entra la sinistra cui Scurati appartiene con le concezioni liberali? E cosa intende lui cosa per libertà di parola? È che proprio non gli va giù di non essere più il solo, lui e i suoi amici, a potersi esprimere. Oggi ci sono anche gli altri e credetemi sono posizioni acquisite a fatica.

PASSI SIGNIFICATIVI
Nei programmi tv la proporzione è ancora di uno contro cinque, nei festival letterari non superiamo il 10%, nelle manifestazioni culturali ci assestiamo su numeri analoghi. C’è da gioire? Non proprio, piccoli ma significativi passi avanti nel segno proprio di quel liberalismo chiamato in causa da Scurati e che lui e i suoi ignorano.

Altro termine chiave è intellettuale: bello, affascinante, onnicomprensivo e allo stesso tempo generico. Soprattutto: te lo puoi dire da solo o è la comunità a riconoscerti come tale? Scurati appartiene alla categoria degli autoincensati, non scrittore così generico ma intellettuale, l’uomo che ha un’opinione giusta su qualsiasi argomento, passando dal romanzo al teatro, dal film al quadro o alla serie tv (c’è davvero chi si è misurato in tutto, arciconvinto di riuscire in tutto). Ah, quanto mi manca Giorgio Gaber che cinquant’anni fa, profetico, scriveva: «Gli intellettuali fanno riflessioni, considerazioni piene di allusioni, allitterazioni psico connessioni, elucubrazioni autodecisioni». Non è cambiato niente da allora, in quell’Italia almeno il livello della produzione culturale era altro, oggi sono diventati la caricatura di se stessi.

Però l’intellettuale dovrebbe essere libero per definizione, mentre qui risulta una figura asservita alla politica, di una parte politica.
Gli intellettuali di sinistra si sono sempre organizzati come una falange militare compatta di intoccabili (però ne conosco diversi in odore di riciclo, pronti a pomiciare col vecchio nemico pur di non perdere il privilegio, speriamo li tengano alla larga), quelli di destra, quei pochi riconosciuti tali a sinistra si divertono a fare l’elenco contandoli sulle dita di una mano, a mo’ di sberleffo, lo vedete siete sempre i soliti quattro o cinque, e quelli noi che siamo democratici li invitiamo già - sono stati a lungo solitari, ombrosi e ora che finalmente non hanno più intenzione di nascondersi o tacere, ecco pronto l’allarme della deriva illiberale, che in sintesi significa stai zitto, continuo a parlare io. Vi sta scrivendo uno a cui tutto sommato è anche andata bene, sonore bocciature perché di destra le ha subite però qualche soddisfazione se l’è anche tolta.

L’APPARTENENZA
Attenzione a questo passaggio: ogni volta che affermavo la mia simpatia per la destra c’era qualcuno pronto ad avvisarmi, «guarda che la cultura è di tutti, non sottolineare questa tua appartenenza, non ti identificare, anzi guarda non dirlo proprio che magari non se ne accorgono». A sinistra invece si schierano apertamente, con orgoglio e te lo sbattono in faccia, al Salone del Libro, alle mostre d’arte, ai festival del cinema.

Mai respirata così tanta libertà. Anche nel milieu culturale si cominciano a intravedere segnali interessanti. Loro tirano fuori sempre la resistenza, ma la vera resistenza in questo Paese l’abbiamo fatta noi, resistenza alla scientifica cancellazione di pensieri altri che non siano i loro (e a destra di alternative ce ne sono davvero tante, matrici e storie diverse accomunate dall’insofferenza per quel sistema inscalfibile dal dopoguerra, tutto tranne che pensiero unico).

Il segreto sta nel non accontentarsi, nel non credere di avere raggiunto chissà quale traguardo e di continuare a lavorare con questo obiettivo: il meglio della cultura di destra deve ancora venire, sarà nuova e originale, non una stanca ripetizione di vecchi slogan consumati e verrà il momento in cui ai loro appelli non crederà più nessuno.

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