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Gabriele Ceriotti, le battaglie col pesce siluro: "Lotta di mezz'ora per pescarli"

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Battaglia fisica più che pesca. Lotta tra uomo e siluro. Sfida tra chi ha una canna e un mulinello come arma e chi dalla sua ha un intero fiume ad aiutarlo. Radici, piante sommerse e avvallamenti dei fondali, i nascondigli preferiti del “mostro” d’acqua dolce, verso cui punta dopo aver abboccato. È lì che riesce a “prendere filo” per cercare vincere la partita. «Se non hai le lenze giuste è un’impresa quasi impossibile issare un siluro dal fondo...», racconta Gabriele Ceriotti, esperto pescatore e profondo conoscitore del Ticino, che quasi ogni giorno naviga con la sua barca. Aveva appena tre anni quando insieme ai nonni andava per fossi a insidiare vaironi, sanguinerole e alborelle; e oggi che ne ha 33 i pesci oltre il metro di lunghezza, per lui, sono diventati la normalità. Qualche giorno fa, dopo uno scontro durato mezz’ora, ha pescato un siluro di 60 chili e 201 centimetri. «Avevo una montatura per lucci... altrimenti con la canna giusta, ovviamente se non si tratta di un esemplare molto grosso, in cinque/dieci minuti lo tiri fuori». Il record del mondo lo ha fatto Alessandro Biancardi nel Po: 2.85 metri.

Erano gli anni ’80 quando il pesce siluro – testa grossa e schiacciata, occhi piccoli, bocca ampia, tre paia di “baffi”, corpo allungato – ha cominciato a diffondersi alla velocità della luce nel bacino del Po dopo le importazioni dall’Europa orientale. «Un pesce con una forza assurda che si adatta a vivere in quasi tutti gli specchi d’acqua, sia molto ossigenata che non. Un pesce tenace, battagliero», lo definisce il pescatore del Ticino. Predatore di razza, dal tramonto all’alba. Di notte caccia, di giorno resta sornione nella sua tana. Ma quando piove e il fiume è in piena capita che resti attivo ventiquattro ore su ventiquattro. L’acqua sporca, poi, è la condizione perfetta affinché il siluro possa scorribandare senza pietà e senza distinzioni di orari.

Ma come si pescano questi esemplari che stanno mettendo a soqquadro l’ecosistema dei bacini lombardi? «Servono canne robuste con una grammatura di almeno di 150 grammi per essere sicuri di avere la meglio sul siluro, fili trecciati intorno agli 0.40/0.50 millimetri e ami molto robusti. Se lo si pesca col vivo si utilizzano come esche pesci come gardon o carassi, mentre se lo si pesca a spinning le esche migliori sono le teste piombate con innescate delle gomme, pesci artificiali in balsa o ondulanti in ferro», spiega Ceriotti.
I siluri sono voracissimi.

Mangiano di tutto: altri pesci, gamberi della Louisiana, piccoli mammiferi e volatili. «Ho visto coi miei occhi pulcini di anatra o gallinelle d’acqua attaccati da siluri e persino cuccioli di nutria inghiottiti dalle loro fauci. Mi è capitato anche di catturare siluri di dimensioni ridotte e mentre li portavo a riva venivano seguiti da siluri di dimensioni doppie che cercavano di mangiarseli». L’attuale alterazione della fauna ittica ha un responsabile ben preciso. Se infatti nel Ticino erano presenti lo storione, la trota marmorata, il temolo, la lasca, la savetta, ora tutto è cambiato. «Il siluro ha contribuito in maniera decisa alla quasi estinzione di queste specie. La colpa, però, non è solo sua ma va suddivisa con altri pesci invasori con una grande resistenza fisica, capaci di adattarsi subito alle variazioni climatiche, come l’aspio, il lucioperca, l’abramide comune, il barbo europeo. I primi due sono predatori quasi ancor più temibili del siluro; gli altri sono molto golosi di uova altrui. Il futuro, ormai, sono loro. Per non parlare del cormorano, che ha messo la ciliegina sulla torta in senso negativo”, sottolinea Gabriele. E l’uomo? «Un po’ di colpa sulla scomparsa di determinate specie ittiche ce l’ha...».

Quello che il pescatore prova durante il testa a testa con il siluro, però, è qualcosa che solo lui può comprendere. Appagamento puro. «La soddisfazione più bella nel pescare il siluro è riuscire a catturarlo: così capisci che l’esca che gli hai preparato ha funzionato. Vuol dire che gliel’ho proposta bene ed è caduto in tentazione», dice Ceriotti. È anche una questione di psicologia.

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