Ostaggio: le origini della parola della settimana

di Massimo Arcangelilunedì 10 febbraio 2025
Ostaggio: le origini della parola della settimana
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I due significati correnti di ostaggio sono ben riassunti dallo Zingarelli: «1. (p)ersona tenuta in proprio potere dal nemico come pegno dell’adempimento di determinati obblighi o allo scopo di evitare atti ostili. 2. (...) (p)ersona rapita e sequestrata da criminali allo scopo di garantirsi l’incolumità o la fuga, o per ottenere un riscatto in denaro o l’accoglimento di determinate richieste: i rapinatori si coprirono la fuga con un ostaggio» (Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, a cura di Mario Cannella, Beata Lazzarini e Andrea Zaninello, Bologna, Zanichelli, 200412, alla voce ostaggio).

Ostaggio, come tante altre parole terminanti in -aggio (da coraggio a lignaggio, da vantaggio a servaggio, da oltraggio a messaggio, da linguaggio a pellegrinaggio), è un gallicismo giunto all’italiano nel periodo medievale. La parola, documentata dall’ultimo quarto del Duecento («tolse i ostagi / e sì gli à mandati a Bologna», Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei, vv., 595-596), traduce il francese ostage (1100 ca.; oggi otage), un derivato di hôte (“ospite” o “oste”) che è però attestato un po’ più tardi (sec. XII). Il punto di partenza è il latino hospes (“ospite”, “oste”, “estraneo”, “straniero”, ecc.). Insostenibile l’ipotesi, formulata (e già respinta) in età ottocentesca, che si possa invece partire da una forma non attestata del latino parlato (*obsidaticum) risalente a obses (“ostaggio”, “garante”). Il passaggio semantico di ostage da “ospite” a “ostaggio” si può ben cogliere facendo tesoro del significato di partenza di un’espressione come prendre en ostage (“prendere in ostaggio”), e la ragione è relativamente semplice.

Il valore originario di questa locuzione, confrontabile con quella speculare – laisser en ostage (“lasciare in ostaggio”) –, è “prendere in casa” (e, dunque: “concedere ospitalità”) in quanto ostage, in un primo momento, voleva dire “dimora”, “alloggio”. Facile allora il passaggio dal luogo di ospitalità alla persona accolta, anche perché alloggiata nella medesima abitazione dell’ospitante: “prendere in casa” (luogo) e “prendere presso di sé” (persona) son quasi semanticamente pari.