Il Papa riposa a Santa Maria Maggiore, la domenica romana è piacevole, il sole stende sulle rive del Tevere un tepore che annuncia l’estate. Il mio giro dei Sacri Palazzi è quello delle Sette Chiese, è lungo circa 20 chilometri, si fa di solito in due giorni, comprende le Basiliche papali maggiori e quelle minori, fa bene allo spirito, alla visione, al cronista che cerca di capire che aria tira sul Conclave.
Chi entrerà Papa? La «Vox Populi, Vox Dei» dice che sarà il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Bergoglio, il profilo ideale per una scelta di mediazione, l’uomo della politica estera, una carta buona per gli americani, ottima per i cinesi (è stato lui a tessere l’intesa segreta del Vaticano con Pechino) ma non per quei Paesi dell’Asia che temono la Cina, forse è un rebus per l’Africa. E in Italia su chi può contare? Non sull’influenza di Sant’Egidio, che punta sulla bandiera del cardinal Zuppi (anche se in realtà ha già un candidato di riserva per il quale sta esplorando il terreno, il cardinal Josè Tolentino de Mendonça, prefetto del dicastero per la cultura e l’educazione, che viene dall’isola di Madeira), ma essendo questo un Conclave di cardinali che non si conoscono, il nome di Parolin è quello che tutti riconoscono, quello del Segretario di Stato.
In verità, con Francesco il suo ufficio venne depotenziato, ma agli occhi del mondo resta un bergogliano (quindi in parte può soddisfare anche l’America del Sud), è il nome più conosciuto tra i papabili e il più adatto alla bisogna, dare cioè l’idea di una continuità, l’elemento narrativo che la macchina vaticana della comunicazione ha cercato di enfatizzare in questi giorni. Dunque è Parolin il favorito, pare abbia già 50 voti, ma ne deve trovare una quarantina e se non prende il volo subito, poi dovrà passare la mano. E ci sono tanti giorni prima del Conclave. Oggi è lui, almeno così appare dalla chiacchiera che conta, quella in sagrestia, le voci da ascoltare sempre con attenzione. «Troppo favorito», sottolinea una mia fonte dei Sacri Palazzi. In quel «troppo» è celato l’imponderabile gioco del Conclave dei cardinali che si apre il 7 maggio. «Questa sarà una settimana di incontri, intrighi, tentativi di costruire il consenso, spinte e sussurri che arrivano da dentro e fuori la Chiesa. Ma poi le porte della Capella Sistina si chiuderanno e comincerà tutta un’altra storia», dice il mio esperto di conclavi. Parolin? La cabala dei Papi dice che i segretari di Stato saliti sul soglio pontificio sono stati solo 3 su 53: Alessandro VII, Clemente IX e Pio XII. La storia rema contro, ma la cronaca soffia come vento a favore. «Vado a pregare alla Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, ci sono i frammenti della «Vera Croce», prima del Conclave sarà un’altra settimana di passione, credimi», mi dice il dotto prima di lasciarmi ai miei pensieri di fronte alla basilica di Santa Maria sopra Minerva, la mia preferita, che trabocca d’azzurro stellato.
Un Papa italiano? L’ultimo fu Giovanni Paolo I, Albino Luciani, scomparso il 28 settembre del 1978, dopo soli 33 giorni di pontificato. Ne ho un ricordo indelebile, nonostante fossi un bambino, l’annuncio della sua morte gelò la nostra casa, si sentiva solo la radio... «è morto il Papa» e il rintocco della campana della chiesa di Santa Maria. Prima Paolo VI, poi Luciani, eravamo catapultati nella cronaca che esondava nel mistero. Quando nel 1985 uscì il libro-inchiesta di David Yallop, intitolato «In nome di Dio», lo divorai, secondo il giornalista inglese Luciani era stato avvelenato. Rimase tutto a mezz’aria, nessuna prova, ma il libro fu uno dei grandi successi pubblicati in Italia da Tullio Pironti, un editore partenopeo dal fiuto eccezionale che nel 1986 stampò per primo Bret Easton Ellis («Meno di Zero») e l’anno dopo Don De Lillo («Rumore bianco»), due giganti della letteratura americana contemporanea. Storie di libri andati, storia che ritorna. Dall’intuito editoriale del Pironti, torniamo al gioco a dadi dello Spirito Santo, a San Pietro, dove il 16 ottobre del 1978 s’affaccia Karol Wojtyla, il primo Papa straniero dopo oltre 400 anni di dominio degli italiani. Un grande Papa «venuto da lontano». Tre pontefici e 47 anni dopo tornerà un italiano a guidare la Chiesa?
Il mistero c’è anche oggi, è nell’inafferrabile, come sempre, passa dalla contraddittoria ricostruzione della notte/mattina di Pasquetta in cui Bergoglio è morto, fino alla decisione di ieri di Angelo Becciu di rinunciare allo scontro per partecipare al Conclave. Il cardinale è un sardo di Pattada, paese della zona del Monte Acuto, luogo di gente dritta e tagliente, qui si produce il pregiato coltello a serramanico 'pattadese'.
Se ha rinunciato, vuol dire che ha pesato, valutato, c’è chi dice che la decisione sia arrivata tardi, con una levata di scudi troppo impetuosa all’inizio e una ritirata troppo quieta alla fine. Questioni di lama a parte, nella storia affilata di Becciu e Bergoglio, ci sono le impronte digitali di Parolin, è stato lui a rendere pubblica la disposizione di Papa Francesco che il Santo Padre ha firmato con la sigla “F” quando era ricoverato al Gemelli. Rivelazioni. È un dettaglio che potrebbe creare ostacoli all’ascesa di Parolin? Nessuno può dirlo con certezza, ma nei Sacri Palazzi si mormora anche questo e il vostro cronista ne prende nota sul taccuino. Sarà «una settimana di trattative, di scontri, di manovre». Il Conclave. Parolin entra Papa. Come ne uscirà?