Li avete sentiti voi? Parliamo dei professionisti ben remunerati dell’antifascismo, dei Buoni e dei Giusti presi a scovare ovunque i segni di quello che Umberto Eco chiamava “fascismo eterno” (ma gli allievi sono lanciati a folle velocità al sorpasso del maestro e parlano ormai espressamente di “nazismo”, vedi psicodramma Afd), dei segugi impegnati a taroccare ogni alzata di sopracciglio di Meloni o ogni post di Salvini in rigurgito nostalgico. Poi, la cronaca ti spiattella in faccia la quintessenza di ogni cultura nazifascista, il marchio antiebraico, il boicottaggio dell’ebreo in quanto ebreo, e improvvisamente l’Allarmato Collettivo piomba in un’afonia totale. Nessun appello, nessun passaparola democratico, nemmeno la notizia riportata, nemmeno in breve. Eppure, la notizia pare riesumata di peso dalla Germania degli anni Trenta.
«Qui non vogliamo gli ebrei», era il cartello affisso durante il Reich nei luoghi pubblici come parchi, teatri, cinema, ristoranti. «Napoli è con Gaza al 100%. Zionists not welcome» è il testo impresso sull’adesivo che alcune squadracce di estremisti in kefiah, come raccontato ieri da Libero, hanno distribuito agli esercenti del capoluogo partenopeo (e più d’uno ha accettato) in solidarietà con Nives Monda. Proprietaria della Taverna Santa Chiara, la signora è la nuova eroina dei pro-Pal nostrani (che oggi significa fattualmente pro-Hamas, è un dato cronachistico incontrovertibile) perché ha indicato la porta a due turisti israeliani definendoli “non benvenuti”.
IL SALTO DI QUALITÀ
Ora, il salto di qualità. Il “non benvenuti” che diventa dichiarazione discriminatoria affissa sulle vetrine dei locali. Appiccicata sull’ipocrisia linguistica (gli attuali frequentatori della retorica nazifascista sono perfino più vigliacchi dei loro avi) che evoca i “sionisti”, perché l’antisemitismo dei Buoni va occultato, edulcorato, abbellito, deve essere pronunciabile nella buona società e difendibile dagli intellò progressisti d’appoggio, i migliori alleati degli oscurantisti coranici. Ma è un paravento ormai ampiamente smascherato, perché per costoro sionista è qualunque ebreo non sputi in faccia allo Stato degli ebrei. È l’ebreo, che vogliono bandire dai locali di Napoli, e non a caso l’adesivo sfoggia la bandiera palestinese oggi purtroppo monopolizzata dai sicari di Hamas, ovvero da coloro che hanno infierito su civili, donne e bambini ebrei perché colpevoli di essere tali.
Non siamo nella commedia politica quotidiana, che scomoda l’orrore per brandirlo come clava contro l’avversario, nello spartito dell’antifascismo immaginario ridotto a (sotto)prodotto dell’industria culturale. Siamo al ritorno della pratica orrenda, l’ostentazione pubblica dell’ebreo come soggetto non gradito, che quindi trascolora a oggetto maligno, totalmente de-umanizzato. Il tutto in un Paese che meno di novant’anni fa si macchiò dell’infamia suprema: le leggi razziali, culmine della criminale rincorsa all’antisemitismo dell’alleato hitleriano. Eccolo, un allarme vero, raggelante, da suonare a perdifiato. Nulla: tace la grancassa mediatica, tace l’orchestra intellettual-resistenziale, tace perfino l’indignazione facile da social (anzi, c’è chi posta a favore della ristoratrice e dei galantuomini boicottatori). C’è il circo antifa in prima serata da non disturbare, e poi dedichiamo già una giornata all’anno agli ebrei morti, gli ebrei vivi non rompano.