Pressing psicologico e dichiarazioni al veleno, convocazioni a vuoto e secchi “no”, maxi ricerche show, ma anche ripicche, fughe di notizie e ironie fino all’annuncio delle impronte digitali vicino al corpo di Chiara Poggi, guarda caso poche ore dopo la mancata presentazione in procura a Pavia. Quella tra i pm che hanno riaperto le indagini sull’omicidio di Garlasco avvenuto il 13 agosto 2007 - e i legali (Angela Taccia e Massimo Lovati) di Andrea Sempio - unico indagato per concorso in omicidio - ormai è una guerra aperta, «dura e senza paura» (come ha scritto in un post l’avvocata del 37enne).
Uno scontro che negli ultimi mesi si è acceso sempre più dopo timidi tentativi di tregua e che ora è totale a 18 anni dell’assassinio e a 10 anni della condanna (dopo due assoluzioni) di Alberto Stasi (16 anni), l’ex fidanzato di Chiara. Ma, al di là delle questioni - da non sottovalutare perché comunque hanno un certo peso - di immagine, strategie e impatto sull’opinione pubblica, quali sono i punti concreti che dividono accusa e difesa? Quali sono, insomma, le presunte prove contro Sempio e come vengono controbattute dai legali dell’indagato?
IMPRONTA DIGITALE
Accusa: la traccia impressa sul muro vicino al cadavere di Chiara Poggi, secondo i pm, è di Andrea Sempio. Lo dice una consulenza che ha individuato “15 minuzie” sovrapponibili a quelle del 37enne. Questa impronta, secondo l’accusa, collocherebbe l’indagato sulla scena del crimine.
Difesa: «Quella è una consulenza di parte, andrà verificato il tutto - ha spiegato l’avvocato Angela Taccia - Andrea aveva già dichiarato a tutti, anche ai media, di aver frequentato ogni locale della casa della famiglia Poggi, tranne la camera matrimoniale dei genitori di Marco e Chiara». Non solo. La traccia palmare lasciata sulla parete della villetta di via Pascoli non è databile (e poco più distante ce ne era una di Marco Poggi, il fratello della vittima) quindi non è necessariamente legata all’omicidio della 26enne il cui corpo, gettato sulle scale che portano in cantina, è scivolato per diversi gradini fermandosi distante dal punto in cui l’assassino l’ha spinto.
Ma c’è anche dell’altro. E cioè che il pool difensivo potrebbe aggrapparsi a una sentenza della Cassazione, n. 24421 del 28 agosto 2020, secondo la quale sono necessari in «tema di prova dattiloscopica e identificazione dell’autore del reato, l’individuazione di almeno 16-17 punti di corrispondenza tra l’impronta repertata sulla scena del crimine e quella dell’imputato costituisce prova certa dell’identità soggettiva, non degradabile a mero indizio». Il nuovo elemento quindi, se fossero confermate solo 15 “minuzie”potrebbe non superare la soglia della prova dibattimentale.
IL DNA
Accusa: il dna trovato sulle dita di Chiara Poggi è compatibile con quello di Sempio. Dunque, secondo i pm, l’indagato ha avuto rapporti diretti con la vittima. E non avrebbe senso la tesi della contaminazione indiretta, perché il pc era spento da (almeno) tre giorni prima del delitto e Chiara non può non essersi lavata le mani per tutto quel tempo, ma soprattutto perché non c’è nessun dna dei genitori e del fratello, che abitando insieme a lei avrebbero lasciato su molti più oggetti e in quantità maggiore i loro profili.
Difesa: la spiegazione del materiale biologico di Sempio, secondo la difesa, è semplice: Andrea usava il pc di Chiara quando andava a giocare con il fratello Marco, così ha contaminato la tastiera. Anche perché la quantità di dna ritrovata, in caso di contatto diretto o aggressione, sarebbe dovuta essere molto maggiore. La mamma di Chiara ha sempre spiegato: «Veniva a giocare con Marco, giocavano sia sotto che sopra, li ho visti anch’io. Mi è capitato di entrare e scendevano le scale, perché sotto giocavano con i videogiochi, con la tv e di sopra col computer».
L’ALIBI
Accusa: secondo i pm l’alibi di Sempio traballa, per non dire che non regge. L’indagato, dopo un anno (il 4 ottobre 2008), ha presentato lo scontrino di un parcheggio di Vigevano. Il tagliando era perfettamente integro (ma senza numero di targa) e Sempio ha sempre sostenuto di aver atteso a casa, con il padre, il ritorno della madre uscita per un acquisto con l’unica auto della famiglia. Al ritorno della donna, verso le 10, avrebbe preso la macchina per andare in libreria (trovata chiusa) a Vigevano. Sempio, di ritorno in paese, sarebbe passato dalla nonna, per poi pranzare a casa. Nel 2017 era stato risentito dai carabinieri come indagato e in un’intercettazione telefonica con il padre poi si era fatto scappare: «Ne abbiamo cannata una, che io ho detto che lo scontrino era stato ritrovato dopo che ero stato sentito, tu hai detto che l’abbiamo ritrovato prima». Poi c’è la questione della madre di Sempio: convocata dai carabinieri tre settimane fa, si era avvalsa della facoltà di non rispondere, ma dopo aver sentito il nome di un suo conoscente aveva accusato un malore. Il motivo? Quella persona potrebbe aver detto che lo scontrino era stato usato da lei.
Difesa: gli avvocati hanno sempre spiegato che era un’abitudine della madre conservare documenti ( «Teniamolo visto quello che era successo quel giorno», avrebbe detto). Per quanto riguarda il malore, l’avvocato Angela Taccia ha precisato: «Era già stata male prima con la crisi di panico, non al nome della persona».
LE TELEFONATE
Accusa: i pm contestano a Sempio tre brevissime (di 2, 8 e 21 secondi) telefonate - alle 17.42 e alle 17.50 del 7 agosto, e alle 16.54 del giorno 8 - a casa Poggi mentre il suo amico Marco, il fratello di Chiara, era in vacanza in Trentino già dal 5 agosto. E sottolineano che da gennaio 2007 c’è traccia di sole altre tre chiamate dal cellulare di Sempio a casa Poggi e una sola dal fisso.
Difesa: l’indagato ha spiegato che la prima telefonata, la più breve, era un «probabile errore», la seconda - 8 minuti dopo - aveva probabilmente fatto scattare «l’allarme», mentre nella terza (la più lunga) stava cercando Marco Poggi, non sapendo o dimenticando che fosse già partito per il Trentino.
GLI SCRITTI
Accusa: I carabinieri che hanno prelevato la spazzatura di Andrea Sempio avrebbero trovato, tra i rifiuti, alcuni pensieri dell’indagato affidati a bigliettini scritti a penna, accartocciati e gettati. Frasi la cui analisi verrà affidata ai profiler del Reparto analisi criminologiche dei carabinieri del Racis di Roma. L’attenzione degli investigatori si è soffermata su una riflessione in particolare: «Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare».
Difesa: «A me quei bigliettini non risultano proprio», ha spiegato l’avvocato Angela Taccia. La scritta comunque, qualora fosse confermata, non ha alcun riferimento al delitto di Garlasco e potrebbe riferirsi a qualsiasi altro aspetto della vita di Sempio.