La colonna di fumo denso ha volteggiato nell’aria per ore, mentre le fiamme divoravano un intero lotto della facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia, a Viterbo. Un rogo improvviso, devastante, partito dal tetto dell’edificio principale e che ieri, nel giro di pochi minuti, ha inghiottito anche i laboratori sottostanti di chimica e genetica, saturi di sostanze infiammabili. Etanolo, plastica, bombole di protossido di azoto: una reazione a catena incontrollabile, con un odore acre percepibile a chilometri di distanza. L’intera area è stata evacuata in un raggio di 500 metri. L’università, cuore della didattica agraria del Lazio, ha sospeso tutte le attività accademiche in città per oggi e domani.
Gli studenti e il personale sono stati evacuati immediatamente, in un clima di panico generale. «Abbiamo visto il fumo e siamo usciti più in fretta che potevamo. Eravamo in quattro in aula», ha raccontato una studentessa, «e quando ci hanno detto di lasciare l’edificio, è scoppiato il caos». Alcuni dipendenti e pochi allievi sono stati trasportati d’urgenza all’ospedale Santa Rosa per sintomi da intossicazione. Nessuno, per fortuna, versa in gravi condizioni.
Nel frattempo, la Procura di Viterbo ha aperto un fascicolo a carico di ignoti. Il reato ipotizzato è incendio. A coordinare le indagini è la procuratrice Paola Conti, che ha ricevuto dai vigili del fuoco la prima informativa tecnica sull'accaduto. Secondo le ricostruzioni iniziali, sul tetto dell’edificio erano in corso lavori di coibentazione legati all’installazione di nuovi pannelli fotovoltaici. Saranno proprio questi interventi, probabilmente, al centro delle perizie che la magistratura affiderà nelle prossime ore a consulenti tecnici. Il sospetto, ancora tutto da verificare, è che qualcosa sia andato storto nell’impianto destinato alla produzione di energia green. Un paradosso tragico: quello che doveva essere un passo avanti per la sostenibilità, si è trasformato in una minaccia per la sicurezza e nella distruzione di un pezzo dell'ateneo.
L’allarme sanitario non è rimasto circoscritto all’ambiente universitario. Il Comune di Viterbo ha fatto sgomberare due palazzine vicine e attivato una serie di misure d’urgenza per proteggere la popolazione. Ai cittadini è stato consigliato di tenere chiuse le finestre, evitare l’uso dei condizionatori e prestare attenzione all’utilizzo dell’acqua. Inoltre, è stato imposto il divieto di raccolta di grano e cereali entro un chilometro dal punto del rogo, così come il consumo di frutta e verdura esposta nella stessa area. Decisioni drastiche, rese necessarie dal rischio chimico derivante dalla combustione delle sostanze nei laboratori.
Sconvolto, ma lucido, è l’intervento del premio Nobel per la Pace Riccardo Valentini, ordinario di Ecologia proprio presso il centro laziale. «Appena mi hanno avvisato», ha raccontato, «sono corso all’Università ed è stato uno choc vedere quel disastro. L’ateneo era nel pieno delle sue attività, tra lezioni e laboratori, con professori, studenti e tutto il personale. Il sentimento è di profonda tristezza». Lo studioso conferma che «attrezzature e laboratori sono andati distrutti» e che «ci sono danni per milioni di euro». Valentini ha voluto inoltre sottolineare il ruolo e il valore scientifico della struttura: «Il dato saliente è che si tratta del centro pulsante di Agraria di tutto il Lazio, unica facoltà nella regione e punto di riferimento non solo per i corsi di laurea ma anche per tutto il mondo del food, per le tecnologie, per le imprese».
Che cosa succederà ora è quasi impossibile dirlo. I tempi di ripresa saranno lunghi, ma l’università potrà contare sul sostegno di Roma. Come ha confermato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che ha espresso la vicinanza dell’Esecutivo: «L’Università della Tuscia saprà rialzarsi: il futuro ambientale del nostro Paese passa anche attraverso la formazione. Il governo non vi lascerà soli». Resta, tuttavia, un interrogativo sullo sfondo di una tragedia evitata per un soffio: quanto sono realmente sicuri i cantieri per la transizione ecologica? E, più in generale, quanto è controllata l’installazione degli impianti fotovoltaici negli edifici pubblici ad alta concentrazione di materiali infiammabili? La risposta potrebbe arrivare proprio da questa indagine. E potrebbe non essere affatto rassicurante.