C’è un filo rosso che lega i referendum e le manifestazioni per Gaza: sono l’arena di un regolamento di conti a sinistra. Partiamo dal voto di domenica e lunedì. I quesiti sul lavoro mirano a cancellare alcune parti del Jobs Act e sono un clamoroso calcio del Pd contro la biografia del partito, quelle norme furono varate tra il 2014 e il 2016 dal governo Renzi e all’epoca presentate dai dem come un passo avanti in favore dell’occupazione. Il Pd di Elly Schlein si è autoribaltato a sinistra, la segretaria sta cercando di liquidare del tutto l’ala riformista del partito, ha stretto un patto con la Cgil “descamisada” di Maurizio Landini e gioca la carta del referendum contro se stesso per rilanciarsi nella corsa verso le elezioni politiche. Prendono gli elettori per gonzi, ma a nessuno sfugge che con il governo Meloni l’Italia in questo momento ha il record storico di occupati. Quanto al reddito, abrogare il Jobs Act non alzerà gli stipendi (quelle norme non hanno alcuna relazione con le buste paga), ma frenerà la creazione di nuovi posti di lavoro. Non solo bugie, ma anche un colpo all’occupazione. Sarebbe questa la sinistra vicina al mondo del lavoro?
Quanto al referendum sulla cittadinanza, l’obiettivo di dimezzare i tempi da 10 a 5 anni è strumentale (l’Italia è la nazione europea che concede più cittadinanze), lo scopo è quello di far guadagnare alla sinistra il consenso degli immigrati, si tratta di un allargamento della base dei votanti “ex legis”, un’alterazione improvvisa degli equilibri del gioco elettorale. Sulla piazza per Gaza e soprattutto sull’esistenza e legittima difesa dello Stato di Israele siamo alla rovina ideologica e alla bancarotta culturale. La sinistra si è spaccata, ieri a Milano Italia Viva e Azione hanno manifestato separatamente dai piazzisti che oggi a Roma daranno fiato a quanti sostengono la tesi del «genocidio» dei palestinesi da parte di Israele.
Su 5 referendum il Pd getta la maschera
Vendono i referendum come lo strumento per migliorare le condizioni dei lavoratori e «rendere il Paese più ...Accusare di quell’infamante azione coloro che da duemila anni subiscono la persecuzione, un popolo costretto alla diaspora, mutilato di milioni di vite da un piano di sterminio totale da parte del regime hitleriano, è ripugnante. Qui il passo indietro della sinistra è sconvolgente: non solo si ignora la storia, la lezione della tragedia della Seconda guerra mondiale, ma la si capovolge, così il clan di tagliagole di Hamas (quelli che hanno decapitato gli ebrei con la zappa, stuprato le donne, sgozzato i bambini, preso gli ostaggi e messo in scena un teatro satanico durante il rilascio di alcuni di loro) è diventato una “fonte” alla quale si abbevera il sistema dei media, la strage del 7 ottobre diventa un episodio da dimenticare in nome di una “Intifada globale” il cui primo obiettivo è la cancellazione della verità sul terrorismo islamista e la “normalizzazione” dell’antisemitismo come argomento da esibire nel dibattito pubblico.
Il bersaglio di Benjamin Netanyahu, la sua figura tragica di leader inseguito dalla guerra, di colpo evapora, lascia il posto al vero obiettivo: Israele e il suo popolo, l’ombra che sfugge nel buio è la caccia all’ebreo che brillava nelle lame che penetravano nella carne degli innocenti dei kibbutz. Mi viene in mente la frase di Golda Meir, nata a Kiev (il gioco a dadi del destino), primo ministro di Israele che ordinò al Mossad di eliminare senza limiti di spazio e tempo - il commando che fece la strage di ebrei alle Olimpiadi di Monaco 1972: «Noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri. Una possibilità di pace esisterà quando gli arabi dimostreranno di amare i propri figli più di quanto odino noi».
La guerra è una prova che abbatte ogni soglia, è storia che propone interrogativi profondi come insondabili abissi: Truman che sgancia la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, gli Alleati che bombardano a tappeto la Germania senza lasciare scampo a nessuno. I nostri ottant’anni di pace sono orrore e liberazione, sono le pagine di sconfinata crudezza e verità scritte da W.G. Sebald nel libro «Storia naturale della distruzione» (Adelphi). Troppo scomodo, non citato dai saggi, un pugno che ricorda «oltre un milione di tonnellate di bombe, che piovvero su centotrentuno città tedesche provocando seicentomila morti fra i civili e sette milioni di senzatetto».
Referendum, la fronda di Gentiloni "tradisce" Schlein: "Sul lavoro voto no"
Alla fine è stato Paolo Gentiloni a risolvere il giallo che, da alcuni giorni, lo riguardava. Andrà a vota...Il piede in due scarpe, ecco, oggi è questa l’uscita di sicurezza, linda, asettica, dell’ignavo, l’acuto pensatore senza macchia che non vuole prendere parte, perché la maschera che indossa è quella che confonde il giusto con la terra di mezzo dove si smarrisce la giustizia e il senso della storia. La caccia all’ebreo è già sprofondata nell’oblio, un incidente di percorso del Progresso che ribalta le parti della tragedia: l’aggredito viene fatto passare per l’oppressore, il terrorista è l’eroe che ammazza il soldato, il regime delle stragi è la bandiera da sventolare contro quella della democrazia, lo slogan «Palestina libera» è il marchio di fabbrica della liberazione definitiva da Israele. Le colombe anneriscono in corvi mentre la massa esulta per i razzi di Hamas, i missili dell’Iran e degli Houthi contro le città degli ebrei.
Quando il 7 ottobre uomini, donne, vecchi e bambini cadevano, a Gaza ballavano di gioia. Tutto dimenticato, il copione è il bollettino quotidiano di Hamas, la predica dell’ayatollah Ali Khamenei che accarezza la canna del fucile, la preghiera dello sterminio dei sionisti e degli americani, il grido di guerra contro l’Occidente, noi, esseri senza memoria che non sanno più chi sono. In un finale allucinato, nel furore di una sceneggiatura macabra, la sinistra ha fissato la manifestazione per Gaza alla vigilia del voto sui referendum. È la ciliegina avvelenata sulla torta della propaganda.