Franzo Grande Stevens muore a 96 anni, era l'avvocato di fiducia degli Agnelli

venerdì 13 giugno 2025
Franzo Grande Stevens muore a 96 anni, era l'avvocato di fiducia degli Agnelli
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È morto a 96 anni nella sua casa di Torino Franzo Grande Stevens, avvocato di fiducia della famiglia Agnelli e protagonista di alcune delle più delicate operazioni finanziarie italiane. Nato a Napoli il 13 settembre 1928, laureato in giurisprudenza alla Federico II - suo maestro fu Francesco Barra Caracciolo - si trasferì poi a Torino. Qui la sua storia si intrecciò indissolubilmente con quella di Gianni Agnelli, diventando 'l'avvocato dell'avvocato'. Ne seguì gli affari in tutte le vicende più importanti, dall'ingresso di Lafico in Fiat all’equity swap Ifil-Exor del 2005. È stato presidente della Juventus dal 2003, dopo la morte di Vittorio Caissotti di Chiusano, fino alle vicende di Calciopoli e alle dimissioni del 2006, rimanendo comunque presidente onorario della società. Ma non solo Agnelli: Grande Stevens è stato anche legale di Carlo De Benedetti, dell'Aga Khan, delle famiglie Ferrero, Pininfarina e Lavazza.

È stato inoltre vicepresidente della Fiat, Toro Assicurazioni, Ciga Hotels, Cassa Nazionale Forense, Consiglio Nazionale Forense e Compagnia di Sanpaolo. Lo scorso anno aveva ricevuto un'onoreficenza per i 70 anni da avvocato. Nel messaggio inviato per ringraziare e letto alla cerimonia, aveva scelto di scrivere una lettera ad un giovane collega, spiegando che "Chi come me ha quasi un secolo di vita e ha trascorso settant'anni da avvocato, ha visto e vissuto i cambiamenti della nostra professione perché come ho sempre detto, l'avvocato, più di ogni altro, è e rimane figlio del suo tempo. Ci tengo però a ricordare che, nonostante il mondo sia mutato, regole di correttezza, integrità, dedizione e deontologia rimangono sempre valide, quelle stesse regole che il nostro Fulvio Croce ha sempre rispettato fino al punto di pagare con la propria vita".

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Croce, presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati di Torino, fu suo collega nella difesa d'ufficio al processo ai capi delle Br, nel 1976, e fu assassinato dai terroristi l'anno successivo. "Giovane amico - chiudeva la sua lettera - non scegliere questa professione se non vorrai prodigarti per gli altri perché - le parole sono del nostro Pietro Calamandrei - 'gli avvocati bisogna che lavorino disperatamente, vogliano o non vogliano, fino all'ultimo respiro, per servire gli altri, per aprire la strada agli altri, e arrivino alla morte senza aver potuto fare quello che li riguarda personalmente e… che tutta la vita hanno dovuto rimandare a domani'".

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