Fosse solo una questione di rosso ideologico, parlando di palcoscenici, non farebbe quasi notizia. È che è diventata anche una questione di rosso nei conti, ripianati dai soldi dei contribuenti perché gli intellettuali e artisti progressisti possano fare quel che vogliono. La vicenda dei finanziamenti al fiorentino teatro La Pergola può ricordare quella del tax credit, i soldi più o meno regalati, grazie a una legge del dem Dario Franceschini, alle produzioni cinematografiche senza chiedere conto di nulla, neppure pretendere che facciano un film.
I fatti. L’attore Stefano Massini, impegnato politicamente a sinistra, è da quest’anno direttore artistico del teatro La Pergola di Firenze, scelto dalla sindaca dem, Sara Funaro. L’anno scorso l’ente, una fondazione privata a partecipazione pubblica, ha ricevuto quattro milioni e 848mila euro di contributi pubblici, più del doppio di quanto incassato da abbonamenti, biglietteria e attività di produzione. Il teatro è in profonda crisi economica: nel 2023 il bilancio ha chiuso con un rosso di un milione e 800mila euro, a cui si deve aggiungere un indebitamento di cinque milioni di euro con le banche. Anche per questo, la Cassa di Risparmio di Firenze, l’istituto di credito del territorio, ha deciso di uscire dal consiglio d’amministrazione, ritenendo l’investimento “non strategico”. Nel 2024 si è arrivati a un sostanziale pareggio, grazie a qualche taglio ma soprattutto a cospicue iniezioni di denaro pubblico. Per il 2025, i soci pubblici e privati avevano chiesto un contenimento del bilancio entro i 7,5 milioni di euro, ma ne è stato presentato uno dell’ammontare di 9,2 milioni, respinto dai soci, Comune e Regione compresi. A seguito di questo, Funaro ha cacciato il direttore generale del teatro, Marco Giorgetti, in servizio da 25 anni, liquidandogli anticipatamente due annidi stipendio, senza ancora sostituirlo. Si è riaperta quindi la questione economica, parallelamente alla quale si è sviluppata una crisi artistica.
La Commissione Consultiva per il Teatro, che agisce indipendentemente dal governo, ha infatti espresso un parere fortemente negativo sul piano industriale della Pergola per il triennio 2025/25, contestandone la sostenibilità finanziaria nonché la continuità e il respiro produttivo. La bocciatura comporta il declassamento del teatro, da “nazionale” a “di rilevante interesse culturale”, con una conseguente perdita di 2,1 milioni di stanziamenti pubblici. Ne è nata una polemica politica. Massini si è detto «schifato».
La sinistra accusa il governo di tagliare i fondi per ragioni politiche, visto che l’ente è un fortino inespugnabile dei compagni toscani. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha spiegato in Parlamento che il teatro «è troppo importante per essere percepito come locale e potrebbe comunque continuare a operare secondo l’assetto attuale ma» - e qui su è ispirato alla relazione della Commissione – «è realistico ipotizzare che la programmazione di Massini sia incongrua rispetto alle potenzialità della struttura». D’altronde, anche il presidente della Regione, il dem Eugenio Giani, che oggi si unisce al coro di critiche contro l’esecutivo, ha sempre detto che 7,5 milioni di contributi pubblici per 184mila spettatori l’anno sono più che sufficienti e che l’ente «deve aumentare la raccolta di fondi dai privati». In sostanza, il ministero lascia la porta aperta a un non declassamento, ma vuole vederci chiaro e non buttare i soldi al vento.
Questa mattina, il direttore Massini è atteso dal sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, al Collegio Romano per esporre le proprie ragioni. Vedremo se andrà e cosa dirà. Certo, i rilievi che la Commissione Consultiva gli ha mosso, e ai quali deve rispondere per convincere il governo a tornare sui suoi passi, non sono poca cosa. «Il programma triennale risulta fortemente generico, se non inesistente. Risulta inoltre fortemente autoriferito, privo cioè della pluralità che un ente nazionale dovrebbe garantire, tanto da sembrare che non si tratti più del Teatro della Toscana bensì del teatro del direttore artistico Stefano Massini. Questo appare confermato dalla dicitura adottata nel suo contratto, che stabilisce che egli individua insindacabilmente, determina e dispone le linee artistiche», in palese conflitto con lo statuto della Fondazione; fatto che potrebbe anche comportare la nullità del contratto”. Questo è scritto nei verbali che contestano il piano industriale.
L’attore deve aver confuso il suo ruolo alla Pergola con quello che svolge a Piazza Pulita, da Corrado Formigli, quando fa un monologo sull’attualità che dà libero sfogo ai suoi pensieri neanche fosse sul lettino dello psicanalista. Secondo la Commissione, l’istrione è talmente egoriferito da aver cambiato la natura dell’ente, con “la sopravvenuta interruzione degli importanti apporti artistici e di collaborazione internazionale che sono la caratteristica propria dei teatri nazionali e la cancellazione di storici rapporti di collaborazioni con istituzioni qualificate su cui si è sempre fondata la pluralità dell’ente e che ne sono garanzia di continuità.
Insomma, Funaro e compagni, per ragioni ideologiche, hanno finito per regalare un teatro di primaria importanza a un profilo ideologizzato e non all’altezza del compito; forse per simpatia, forse per poter dire la loro, forse per contiguità di pensiero. Con l’aggravante di una totale disattenzione per i conti, già disastrati.