I bergogliani vogliono domare Papa Leone XIV

di Antonio Soccimercoledì 23 luglio 2025
I bergogliani vogliono domare Papa Leone XIV
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«Il Papa? È un uomo di fede, mite e buono. Ci ascolta molto...», dice sornione l’ecclesiastico. Ma in che senso (e chi) ascolta? La risposta è un sorrisetto soddisfatto. Il monsignore è parte dell’establishment bergogliano che spadroneggia dappertutto. Cercano di far credere che Robert Prevost si farà trasformare in una copia sbiadita di papa Jorge Bergoglio. Possibile? Che i domatori vogliano addomesticare il Leone per il loro circo progressista è evidente, ma che lui si faccia “domare” è un altro discorso.

Di certo è un uomo che ascolta ed è purtroppo circondato da persone che gli esprimono un pensiero unico, molto ideologico. Egli cerca di capire i tanti dossier per prendere poi una sua strada. Ma non è facile: le pressioni che lo spingono alla continuità con il predecessore sono forti. In questi giorni c’è chi ha notato delle oscillazioni, per esempio, nei suoi interventi su Gaza.

La telefonata che Bibi Netanyahu gli ha fatto, venerdì, per scusarsi del «tragico incidente» relativo alla chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, è stata un passo verso la comprensione reciproca. Il premier ha perfino invitato il Pontefice a visitare Israele. Ma il Segretario di Stato Pietro Parolin, nelle stesse ore, ha fatto dichiarazioni dure, pretendendo che si chiarisca «se è stato veramente un errore, cosa che si può legittimamente dubitare, o se c’è stata una volontà di colpire direttamente una chiesa cristiana». Affermazioni aspre, insolite per il capo della diplomazia vaticana che è stato il regista dell’accordo del Vaticano con il regime cinese, le cui azioni persecutorie Parolin non denuncia mai (in questi anni il Vaticano ha imposto il silenziatore sulla dittatura comunista di Pechino). In genere su Gaza molti tendono pure a dimenticare gli orrori del 7 ottobre, la natura di Hamas e l’esistenza di ostaggi ancora prigionieri.

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C’è stato qualche altro pesante intervento ecclesiastico (ma non del cardinale Pierbattista Pizzaballa) che, per l’estremismo di alcune espressioni, poteva provocare una crisi diplomatica con Gerusalemme. Il governo israeliano getta acqua sul fuoco. Memore dei pessimi rapporti con il predecessore, cerca il dialogo con Leone XIV e sa di averne un gran bisogno in questo momento (anche per questo è chiaro che quello della chiesa di Gaza è stato un «tragico incidente» non voluto).

IL DIALOGO CONTINUA

Tuttavia c’è chi ritiene che il Papa si sia sintonizzato con le dure posizioni di Parolin all’Angelus di domenica in cui ha ricordato «l’attacco dell’esercito israeliano contro la Parrocchia cattolica della Sacra Famiglia» e le vittime, poi i «continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto a Gaza», chiedendo «nuovamente che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto». L’ambasciatore di Gerusalemme in Italia, Jonathan Peled, intervistato ieri da La Stampa, ha dichiarato: «Considero le parole di Papa Leone all’Angelus un appello generale, diretto in primo luogo contro Hamas che viola i diritti umani, usai civili come scudi umani e infligge dolore, sofferenza e morte al suo stesso popolo. Quindi ci uniamo al Papa nell’invocare la fine del terrorismo e della barbarie». In effetti l’Ambasciatore ricorda più volte che è Hamas che non ha ancora accettato l’accordo per il cessate il fuoco. I tanti che in questi giorni ripetono gli appelli per far tacere le armi lo dimenticano e non è un dettaglio. «L’accordo era molto vicino», spiega Peled, «il premier Netanyahu è andato a Washington dieci giorni fa. Ci si aspettava che tornasse con la firma», ma «Hamas l’ha rifiutato».

Pure sulle vittime nella distribuzione degli aiuti spiega che le cose stanno diversamente da quanto dicono le fonti arabe, che vengono recepite acriticamente dai media occidentali e dal Vaticano. La Gaza Humanitarian Foundation, che finora ha distribuito fra 80 e 90 milioni di pasti alla popolazione civile di Gaza, ha lo scopo di aiutare i palestinesi togliendo ad Hamas il controllo e la gestione del cibo e ovviamente Hamas crea disordini per sabotarla. L’Ambasciatore non commenta le dichiarazioni di Parolin e afferma che il colloquio telefonico fra il premier israeliano e il Papa «è un segno che c’è un dialogo aperto con la Santa Sede. Potrà anche essere un dialogo critico, ma, finché c’è, penso che sia positivo».

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Poi Peled si dice «sicuro che la Santa Sede sia ben consapevole del fatto che i cristiani in Medio Oriente sono in pericolo ovunque tranne che in Israele. Sono in pericolo a Betlemme, in Cisgiordania, a Gaza, in Siria... Eppure non vedo il mondo chiedere la protezione delle chiese colpite e prese di mira in Siria. O delle minoranze coinvolte in un massacro perpetrato dalle forze siriane e da altri elementi.
L’unico posto in cui i cristiani sono al sicuro è Israele».

In effetti in questi giorni il Vaticano si è occupato solo della parrocchia di Gaza. Fra l’altro dimenticando che, sotto il regime di Hamas, già prima del 7 ottobre, i cristiani non se la passavano affatto bene. Filippo Di Giacomo, su Il venerdì di Repubblica, un mese fa scriveva che i cristiani «a Gaza, quando Hamas ne prese il controllo, erano 6mila, ora circa 300». Poi ha ricordato i cristiani perseguitati e uccisi nel mondo islamico «a causa della loro fede. Intanto nella Roma cattolica si producevano bei documenti e si andava per il mondo a scambiare segni di pace». Era papa Bergoglio che ripeteva gesti di pace verso quel mondo musulmano che è ben poco pacifico con i cristiani. Invece Leone XIV nelle prime settimane del pontificato ha parlato spesso delle persecuzioni contro i cristiani e ha suscitato molte speranze. Anche per aver posto l’accento sulla fede, anziché sulle solite questioni (immigrati e clima). Poi, ultimamente, sono tornati i temi bergogliani.

Andrea Riccardi (Comunità di S. Egidio) è paladino del bergoglismo e dice: «C’è stata nel cambio di pontificato una strana aspettativa di discontinuità su vari temi, che non è propria di papa Leone».
Quell’aspettativa c’è ancora, molto forte fra i cristiani. E non è Riccardi a dover decidere in proposito, ma il Papa.

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