Non si rassegnano i Cinà. Non credono alla tesi del malore improvviso, non pensano si sia trattato di un incidente. «Perché Simona è morta?», chiedono, invece, da giorni. Questa ragazza di appena vent’anni, dai capelli lunghi e dal sorriso fresco, in perfetta salute, pallavolista (quindi anche atletica), deceduta la notte di venerdì scorso, durante una festa di laurea, in una villetta a nolo a Bagheria, nel Palermitano, dentro una piscina e senza che nessuno, lì per lì, se ne accorgesse. Sono distrutti, adesso, mamma Giusy e papà Luciano, così come il fratello e la sorella di Simona: sono increduli, sono provati, sono decisi a scoprire la verità. La procura di Termini Imerese ha appena aperto un fascicolo a carico di ignoti e per omicidio colposo. L’intestazione è temporanea, non c’è nulla di certo, quantomeno non ufficialmente: c’è, semmai, un mezzo mistero che si alimenta (senza che ce ne sia necessità, come avviene sempre in casi simili) con commenti sui social e con ricostruzioni magari un po’ fantasiose.
Sono proprio i magistrati siciliani, tramite l’ufficio stampa dei carabinieri, i primi, ieri sera, a mettere in fila i fatti e a precisarli: il corpo di Simona è stato «rinvenuto da qualcuno degli ultimi partecipanti» al party intorno alle 4 del mattino, si trovava «esanime sul fondo della piscina, in un angolo distante e dotato di scarsa illuminazione rispetto alla zona dove erano collocati bar, consolle musicale e servizi igienici». Sono stati due ragazzi a recuperarlo e hanno praticato «le manovre di rianimazione salvavita in attesa dell’arrivo dei soccorritori». Ogni cosa, purtroppo, è stata inutile: il decesso della giovane è stato constatato alle 5. Tutti coloro presenti in quel momento nella villa sono stati identificati dalle forze dell’ordine e, quando è stato il momento di essere sentiti, «hanno avuto un comportamento collaborativo». «Nei pressi del bancone adibito a bar» sono stati trovati bicchieri e bottiglie di alcolici: materiale che è stato «posto sotto sequestro come ogni altro oggetto presente sulla scena e utile a fini investigativi».
«Era brava all’università, studiava. Era conosciuta. Non litigava con nessuno». La signora Cinà singhiozza mentre ricorda la figlia in queste che, per lei, sono probabilmente le ore più dolorose di tutte. «Vi prego, chiediamo solo di sapere». Lo strazio comprensibile di un genitore di fronte alla tragedia inimmaginabile: «Era un pesce, amava l’acqua, non sarebbe mai annegata in una piscina». «Qualcuno potrebbe averle messo qualcosa nel bicchiere», azzarda il fratello.
C’è il nodo dei vestiti, una minigonna di jeans e una maglietta verde («non c’erano», si sfogano i famigliari, sarebbe mancato anche un bracciale a cui Simona era legatissima, «evidentemente se lo era tolto per non bagnarlo»: in realtà sono stati sequestrati dagli investigatori); c’è il nodo di chi ha visto cosa («gli amici ci hanno detto di averla persa di vista», continuano, anche se i partecipanti all’evento erano un’ottantina: la spiegazione più logica sarebbe quella della procura, un “angolo appartato” della piscina); c’è il nodo dei drink (fatti sparire troppo in fretta secondo qualcuno, rinvenuti e repertati secondo la procura). In quella villa, che è un immobile di lusso con vista mare tra l’altro in vendita per un milione e 200mila euro, pare non ci siano telecamere sulla piscina. Il prossimo passaggio è quello dell’esame autoptico che verrà eseguito giovedì al policlinico di Palermo: quello sarà un momento cruciale per capire se Simona sia morta di annegamento o sia caduta in acqua dopo aver perso i sensi. È in base a questo responso che l’inchiesta avviata potrebbe cambiare.