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Leone XIV, se non parla di genocidio "Avvenire" silenzia il Papa

Il Pontefice non si esprime su quanto sta avvenendo a Gaza. Ed ecco che come per magia la circostanza sparisce dal quotidiano vescovile
di Giovanni Sallustisabato 20 settembre 2025
Leone XIV, se non parla di genocidio "Avvenire" silenzia il Papa

(LaPresse)

3' di lettura

Se è vero, come diceva Hegel, che la lettura del giornale è «la preghiera del mattino dell’uomo moderno», questa storia è piena di cortocircuiti. Perché è, tecnicamente, la storia di una notizia non data. Oppure, variante raffinata: non data in quella forma particolarmente accorta che è la citazione in una mezza frasetta dentro una pagina-lenzuolata confezionata attorno a tutt’altro, magari un’ovvietà altisonante. «Leone XIV costruttore di ponti», ad esempio, che è come dire «Il Papa è il Papa», visto che il Pontifex è già da sempre, nell’etimo, colui che edifica ponti.

Non è un esempio a caso, perché l’assenza nella preghiera laica cantata dai giornali riguarda i due quotidiani più in confidenza con la preghiera sacra, Avvenire e l’Osservatore Romano. La testata della Conferenza Episcopale e quella della Santa Sede. La prima, in particolare, ha dedicato amplissimo spazio al volume con la prima intervista rilasciata dal Papa, intitolato Leon XIV: ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI e pubblicato in Perù. Ritaglio in prima, pagina 3 monografica (col titolo tautologico di cui sopra accompagnato da un altrettanto prestampato «Dialogo e verità, sfida alle divisioni») con tanto di sommari, virgolettati in risalto, sottolineature. La notizia, però, è che da nessuna parte rimbombava la notizia.

Un ginepraio (non) giornalistico al quadrato, se scandagliato con animo e sguardo cristiano. Perché, e davvero vogliamo stare al vecchio vizio della cronaca, Papa Leone nella sua prima intervista si è concesso subito una sparigliata, ha compiuto un atto per eccellenza di cristianesimo anzitutto nel senso originario del suo Fondatore: ha contraddetto lo spirito del tempo, non si è immerso nell’alfabeto mondano, ha brandito quella “spada” metaforica che nel Vangelo di Matteo significa divisione rispetto al conformismo dominante. E non dedicandosi a una spigolatura, ma violando il primo dogma del discorso pubblico contemporaneo, addentrandosi nel sancta santorum delle anime belle: il “genocidio” in corso a Gaza, la parola-magica che ti dà udienza presso il Tribunale dei Buoni e dei Giusti.

«La parola genocidio viene usata sempre più spesso. Ufficialmente, la Santa Sede non ritiene che si possa fare alcuna dichiarazione in merito in questo momento». Non solo, ed è qui che Prevost va ben al di là della cortina formalistica: «Esiste una definizione molto tecnica di ciò che potrebbe essere un genocidio. Ma sempre più persone stanno sollevando la questione». Cioè: il verbo corrente riecheggia sempre di più quel vocabolo che brucia dell’incendio novecentesco, ma «esiste una definizione tecnica», che evidentemente in Vaticano oggi non reputano corrispondente alla chiacchiera mediatica, visto che non visi accodano. Per il Papa, lo stesso che nella stessa intervista scandisce drammaticamente che «come cristiani non possiamo diventare insensibili» di fronte al dolore reiterato di Gaza, e che richiama al dovere di «continuare a fare pressione per cercare di ottenere un cambiamento», non si può spendere la parola “genocidio”, che è tragedia codificata e punto di non ritorno simbolico.

È una notizia immane, la Chiesa che si rifiuta di fare da megafono al linguisticamente corretto, che si divincola dal tempo e dalle sue mode. Il quotidiano dei vescovi italiani la riduce a un mezzo no comment disseminato per dovere in un articolo oceanico. Ma anche un commentatore di cose cattoliche del calibro di Andrea Tornielli, su L’Osservatore Romano, chiude gli occhi di fronte all’elefante nella stanza (vaticana), e verga un editoriale di correttezza e di maniera, citando per l’ennesima volta «i ripetuti appelli di Papa Leone XIV» a «rispettare pienamente il diritto internazionale esprimendo vicinanza al popolo palestinese». Vero, doveroso e cristianissimo. Poi, ci sarebbe la notizia: la linea della Chiesa non è (più) appiattita sul coro progressista globale, per inciso il miglior alleato degli oscurantisti coranici. Leone non pronuncia “genocidio”, il Papa non è la spalla della spalla di Ezio Greggio, il mondo ha (ancora) un senso.