A noi insegnanti di materie classiche piace dire che i Romani, e prima ancora i Greci, erano “proprio come noi”: che i nostri patres e antenati, quelli dai quali la nostra cultura discende ancora in larga parte, avevano i nostri stessi bisogni, desideri, impulsi. E a volte dirlo è utile per far superare agli studenti il panico sempre più diffuso e paralizzante per materie considerate “difficili”, ostiche e distaccate dalla realtà come il latino e il greco, la storia antica e l’archeologia. Ma è falso, falsissimo: i Greci e i Romani, di cui pure siamo i diretti eredi - cosa di cui andare orgogliosi -, erano diversi, diversissimi da noi. E basta scavare un po’ nella storia delle credenze, delle tradizioni radicate, dei culti religiosi, per trovare testimonianze insolite e persino spiazzanti.
Ce lo dimostra Mario Lentano con I Romani che non ti aspetti. Storie bizzarre per menti curiose (Carocci Sfere, 124 pp., 15 euro). E non lasciatevi ingannare dal fatto che questo volume così bello ed elegante sia corredato da una serie di illustrazioni vivacissime e intrise di sottile ironia, di Caterina di Paolo: Lentano, docente di Letteratura Latina all’Università di Siena, oltre che uno studioso dalla produzione vastissima (promemoria: chiedergli come abbia fatto a dilatare il tempo per riuscire ad avere una produzione tanto corposa, varia e sempre attraente per il lettore!), legge i testi classici attraverso la lente dell’esperto di antropologia, nello specifico di antropologia del mondo antico.
«Gli antropologi», scrisse un giorno Claude Lévi-Strauss, «sono qui per testimoniare che il modo in cui viviamo, i valori ai quali crediamo, non sono gli unici possibili stili di vita; altri sistemi di valori hanno permesso e permettono ancora a comunità umane di trovare la felicità»: una bellissima dichiarazione di apertura e di curiosità intellettuale, che qui troviamo applicata al mondo romano. La cultura dei nostri maiores, dei nostri antenati, è infatti piena di cose, usi, convinzioni, pratiche che ci stupiscono e ci colpiscono (anche in negativo, a volte), e che in quanto tali nessuno attribuirebbe volentieri ai propri antenati o sarebbe orgoglioso di annoverare fra le proprie radici. Non si tratta certo di trasformare la cultura romana in una Wunderkammer, ovvero in una di quelle “stanze delle meraviglie”, tanto in voga dal Rinascimento in poi, ricolme di oggetti e ritrovati bizzarri, sorprendenti, particolari, di scherzi della natura che signori e alti prelati amavano esibire per fare colpo sugli ospiti.
Scopo del libro non è nemmeno suscitare nel lettore la convinzione che questi Romani fossero in preda alla follia, come suggerisce lo scioglimento geniale dell’acronimo SPQR (Sono Pazzi Questi Romani), che Marcello Marchesi, primo traduttore dei fumetti di Asterix, ha reso proverbiale quasi quanto il vero significato (Senatus PopulusQue Romanus, “il Senato e il Popolo Romano”). Come ha insegnato l’antropologia del mondo antico, si tratta di piuttosto di valorizzare queste stranezze, (perdonate il termine poco ricercato, ma espressivo), quale chiave privilegiata di accesso alla cultura romana. Infatti, proprio da esse, come sempre accade di fronte a qualcosa che colpisce, stupisce o addirittura ripugna, può scattare la fascinazione e quindi il desiderio, e anzi, addirittura il bisogno di conoscenza.
E così, scorrendo le pagine del bel volume di Lentano, scopriremo che, per i nostri antenati, gli uomini discendevano dagli alberi, e, nello specifico, dalle querce; che i sogni avevano anche per i Romani e per i Greci un valore importantissimo, anche se le loro tecniche di analisi erano molto diverse da quelle di Freud; che le donne romane dovevano farsi baciare per obbligo sulle labbra dai loro parenti maschi, ma non per affetto; chela religione più autentica e radicata dei nostri progenitori non era quella che si rivolgeva alle grandi divinità olimpiche (Giove, Minerva, Apollo), ma, piuttosto, a una selva di minuscole divinità cui era affidata la cura di ogni attimo e di ogni minuta attività umana; e, infine, che la città sorta lungo il Tevere avrebbe potuto chiamarsi Romula (o Remora). E se quelle raccolte da Lentano sono, come recita il sottotitolo “storie bizzarre”, la “mente curiosa” non solo ne trarrà diletto e soddisfazione, ma, magari, verrà colta dal desiderio di approfondire e di leggere direttamente i testi di una delle più belle letterature del mondo: il che è quanto auspichiamo di tutto cuore.