E così, anche il commiato voluto, programmato, liberamente agito delle gemelle Kessler (avvenuto in un sobborgo di Monaco di Baviera) diventa innesco buono per lustrare l’antimelonismo di professione. Dove la professione è anzitutto quella giornalistica, ça va sans dire, che alle nostre latitudini sovente si trasforma in un campionato virtuosistico: come ricondurre qualunque accadimento del mondo al governo di centrodestra, ovviamente nella chiave della colpa.
In questo caso era obiettivamente arduo, oltre che istintivamente stonato, ma i colleghi non vanno mai sottovalutati. A questo giro, che poi scomodava quella Notizia che incombe su di noi da quando nasciamo («imminenza sovrastante specifica», chiamava Martin Heidegger la morte, ma chissenefrega, qui c’è da immaginare l’opposizione, ché se aspettiamo Elly stiamo freschi), la palma del vincitore va incontestabilmente a La Stampa. Titolo di prima, sotto la foto delle gemelle ai tempi gloriosi: “Palude fine vita, il governo cieco”.
Insomma se le Kessler avessero avuto la sfortuna di risiedere in Italia, non avrebbero potuto salutare la propria esistenza con la leggerezza del Da-da-un-pa, a causa di quel becero esecutivo di sovranisti retrivi che ci ritroviamo, è grossomodo il messaggio combinato del testo e delle immagini. Che la sinistra italiana sia stata al governo quasi ininterrottamente dal 2011 al 2022 senza sognarsi non solo di approvare una legge che incardinasse la materia, ma nemmeno di condurre uno straccio di battaglia culturale in proposito, trascolora a dettaglio fastidioso: mai disturbare la Titolazione Antifascista con la realtà. All’interno, “l’inchiesta” a firma di Francesca Schianchi ci svela la (non) notizia: “Una proposta c’è, giace in Senato, scritta dalla destra e parecchio contestata dalle opposizioni” (mentre il governo dovrebbe coltivare il buon gusto di presentare iniziative gradite alle opposizioni). Ma perché “giace”? Perché, ci svela il segugio-Schianchi, “la Toscana la primavera scorsa si è arrangiata da sola” e “il governo Meloni” (che inspiegabilmente non accetta il ruolo di passacarte della giunta Giani) “ha impugnato la legge dicendo: il suicidio assistito non è competenza delle regioni”.
Si attende quindi il pronunciamento della Corte Costituzionale. Ma par di capire che sulla testata sabauda per una volta l’ “autonomia” regionale non sia una parolaccia, nel caso del suicidio assistito (mentre protezione civile e coordinamento della spesa sanitaria sono irrinuciabili prerogative statali insidiate dal barbaro Calderoli). In ogni caso, “nelle pieghe” del testo attualmente circolante in Parlamento si aggira “un’ombra” inquietante. È “l’ombra del sottosegretario Alfredo Mantovano”, che sarebbe il referente occulto di “mondi cattolici estremamente conservatori” (come è noto, il cattolicesimo costituisce un prezioso contributo al dibattito democratico se e solo se progressista e tardo-bergogliano). Quest’ombra avvolgente, che sembra evocare più un membro della Spectre che un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, torna anche sul Domani: “a dettare le condizioni” in tema di fine-vita “sarebbe Alfredo Mantovano, una lunga storia personale in buoni rapporti con il Vaticano e i gruppi Pro-Vita”, scritto così, come se si trattasse di bande eversive, e non di realtà che sulla traduzione legislativa dell’evento-culmine dell’umano la pensano legittimamente (o no?) in modo diverso dal quotidiano di De Benedetti.
Anche l’Huffington Post ci tiene a renderci edotti sul “perché il suicidio assistito di Alice e Ellen Kessler in Italia sarebbe impossibile”: è ancora e sempre questo il centro della questione, non il mistero insondabile di due persone di fronte alla Fine. Il “perché” è comunque presto detto: soprattutto perché alle anime belle progressiste importava molto farsi fotografare ai convegni sull’eutanasia, e nulla fare politica.