Il pm aveva chiesto otto annidi carcere, il tribunale di Venezia lo ha assolto con formula piena. Perché il fatto non sussiste. Lei, quindici anni allora (oggi è maggiorenne), durante quei rapporti sessuali con lui, 52enne veneto, era pienamente consenziente: non ha subito violenza né coercizione, nonostante la differenza d’età di 37 anni era pienamente d’accordo a condurre quella relazione e la legge, dopotutto, fissa l’età del consenso a un anno in meno, cioè a quattordici anni.
È una sentenza che fa discutere, quella della giudice (una donna, tra l’altro) che stralcia il procedimento in capo a un uomo adulto, accusato di stupro nei confronti di una ragazzina, per cui la magistratura inquirente ha pure sollevato l’aggravante della minore età della vittima. Ma è anche un processo, quello che si conclude in questo modo, nei giorni scorsi, fatto di perizie e riscontri, di prove e documentazioni.
I due hanno iniziato a frequentarsi on-line, era il novembre del 2020, in piena pandemia. I primi messaggi sui social, i like alle foto, le chat che si fanno sempre più intime. Per qualche mese è andata avanti così, poi gli incontri sono avvenuti di persona e anche a casa della 15enne (mentre i genitori non erano presenti). La loro relazione è durata per nove mesi, ossia fino all’agosto del 2021, con quegli appuntamenti, rubati per modo di dire, voluti da entrambi, che finivano anche in rapporti sessuali completi e consumati. «Tu sei mio», scriveva l’adolescente: chiaro sintomo del fatto che si considerasse parte attiva all’interno di quella coppia diversa dai canoni comuni.
Da quanto è emerso nel corso del dibattimento, è stata proprio la giovane a esprimere la volontà di continuare il rapporto col 52enne. È cambiato tutto, invece, quando i suoi genitori si sono accorti di cosa stava succedendo e allora lei stessa ha cominciato a modificare l’atteggiamento e ha rielaborato i fatti. Ma queste, perla magistratura, per l’ordinamento, non sono circostanze tali da dimostrare una volontà violata, l’uso della forza, la costrizione degli intenti. Non è possibile, insomma, dice il tribunale veneziano, ora, con gli elementi che ci sono, dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che quello non fosse amore e non lo fosse per ambo le parti. Per arrivare a questa decisione la giudice si è avvalsa anche della consulenza di una psicologa che ha valutato le reali intenzioni della giovanissima ragazza.