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Shahin, la mossa del Viminale sull'imam di Torino: non è ancora finita

di Tommaso Montesano martedì 16 dicembre 2025

3' di lettura

Quattro paginette che suonano come un nuovo schiaffo della magistratura al ministero dell’Interno in tema di immigrazione. Se il Viminale, poco meno di un mese fa, aveva sottolineato per Mohamed Shahin, imam di Torino, il «ruolo di rilievo in ambienti dell’islam radicale, incompatibile con i principi democratici e con i valori etici che ispirano l’ordinamento italiano» - da qui il relativo decreto di espulsione con trattenimento presso il Cpr di Caltanissetta -, per la corte d’appello del capoluogo piemontese, sezione protezione internazionale, l’egiziano alla guida della moschea di via Saluzzo, nel quartiere di San Salvario, è «perfettamente integrato e inserito nel tessuto sociale del Paese» e pertanto è esclusa una sua «concreta e attuale pericolosità».

Risultato: un’ordinanza con la quale il consigliere designato Ludovico Morello «dispone la cessazione del trattenimento» di Shahin presso il Centro di permanenza per i rimpatri siciliano, con conseguente ritorno in libertà dell’imam, che ora potrà continuare a sperare anche nell’accoglimento della sua domanda di asilo dopo la revoca del permesso di soggiorno.

Giorgia Meloni affida ai suoi profili social lo sdegno per la pronuncia della Corte: «Parliamo di una persona che ha definito l’attacco del 7 Ottobre un atto di “resistenza”, negandone la violenza. Che, dalle mie parti, significa giustificare, se non istigare, il terrorismo». Quindi l’affondo contro le toghe: «Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?».

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L’ITER DELLO SCONTRO

La vicenda inizia il 9 ottobre scorso, quando nel corso di una manifestazione pro-Pal in piazza Castello, a Torino, davanti a un centinaio di persone Shahin pronuncia una frase che tende a giustificare il massacro del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas ai danni di Israele («non fu violenza, ma una reazione ad anni di occupazione»). Nei confronti dell’imam, il 24 novembre il Viminale emana un decreto di espulsione dal territorio nazionale, firmato dal ministro Matteo Piantedosi. Shahin è riconosciuto «messaggero di un’ideologia fondamentalista e anti-semita», essendosi anche reso «responsabile di comportamenti che costituiscono una minaccia concreta attuale e grave per la sicurezza dello Stato». «Non c’entra il fatto di essere un imam e non c’entra l’islam», spiegherà il numero del Viminale, circoscrivendo il provvedimento ad «alcune frequentazioni e alcuni comportamenti» incompatibili con la sicurezza nazionale.

La corte di appello di Torino convalida il trattenimento presso il Cpr di Caltanissetta, disposto dal questore il 24 novembre, quattro giorni più tardi. L’8 dicembre, però, la difesa di Shahin presenta un’istanza di riesame. Ed è all’esito di questa mossa che i giudici del capoluogo piemontese ribaltano la situazione attestando la validità delle «nuove informazioni» fornite dagli avvocati dell’egiziano, «tali da mettere in discussione la legittimità del trattenimento».

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Primo elemento a discarico: le frasi pronunciate in piazza, già archiviate dalla procura di Torino, sono considerate «espressione di pensiero che non integra gli estremi di reato». Secondo elemento a discarico: la partecipazione a un blocco stradale il 17 maggio 2025, inserita a carico dell’uomo in seguito a una denuncia, non è stata «connotata da alcuna violenza». Terzo elemento a discarico: «I contatti con soggetti indagati e condannati per apologia di terrorismo»- il motivo alla base dell’espulsione «sono isolati e decisamente datati» (relativi al 2012 e al 2018, osservano i giudici) e inoltre «sono stati ampiamente spiegati e giustificati dal trattenuto», Shahin, «nel corso della convalida».

Conclusione: a carico dell’imam egiziano, «presente in Italia da oltre vent’anni» e «completamente incensurato», «non vi sono ulteriori concreti elementi di fatto» tali da giustificare l’adozione di provvedimenti fondati su «un eventuale giudizio di pericolosità».

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BATTAGLIA CONTINUA

Shahin ora può tornare a casa, a Torino, come auspicato lo scorso 10 docembre dalla moglie Asmaa. Lo scontro legale, tuttavia, non è finito. Fonti del ministero dell’Interno, nella serata di ieri, hanno fatto sapere che la procedura di espulsione dell’imam andrà avanti. Il Viminale, infatti, farà ricorso in Corte di Cassazione per ottenere il rimpatrio di Shahin. Inoltre restano altri fronti legali aperti: sul permesso di soggiorno dell’uomo, revocato, è comunque pendente il giudizio di fronte al Tardi Torino; sulla richiesta di asilo dovrà pronunciarsi il tribunale di Caltanissetta, che ieri ha intanto sospeso l’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto emessa dalla commissione territoriale di Siracusa.

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