Lavoro: Consulenti, quello familiare è lecito, approfondimento su tema
Roma, 7 mag. (Labitalia) - "La Corte di Cassazione con l'ultima decisione in materia (Sez. Lav., 27 febbraio 2018, n. 4535) rende consolidato l'orientamento che vuole lecito il lavoro tra familiari, una realtà molto viva nel tessuto economico del nostro Paese che mira a dare continuità alla gestione delle aziende nonché al tramandarsi dei mestieri. La sentenza facendo chiarezza sul lavoro familiare dà torto, quindi, alle operazioni presuntive spesso contenute nei verbali ispettivi Inps che tendono a negare la sussistenza del rapporto di lavoro tra familiari, pur in assenza di una norma che vieti esplicitamente al datore di assumere un componente della famiglia". E' quanto spiega la Fondazione studi dei consulenti del lavoro che con con l'approfondimento di oggi analizza le motivazioni della sentenza n. 4535 e, in particolare, gli indici oggettivi stilati dalla Suprema Corte per riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico aziendale. Per i consulenti del lavoro "fa chiarezza la Corte sul lavoro familiare, rasserenando particolarmente piccoli imprenditori e artigiani". "Con l'ultima decisione in materia (Sez. Lav., 27 febbraio 2018, n. 4535) la Suprema Corte rende quanto mai costante e consolidato l'orientamento che vuole lecito il lavoro tra familiari, realtà molto viva nel nostro tessuto economico e che mira a dare continuità alla gestione delle aziende nonché al tramandarsi dei mestieri", sottolineano. "Il motivo per cui -spiegano nell'approfondimento i consulenti del lavoro- si è giunti a questo consolidato orientamento è la presa di posizione dell'Inps che, lungi dall'aderire agli arresti più volte confermati dalla Corte di Cassazione, continua a considerare il lavoro familiare quale strumento di dissimulazione per garantire una mera prestazione pensionistica". "E ciò viene concretizzato in fase ispettiva -spiegano ancora i professionisti- con la costante tendenza a disconoscere il rapporto di lavoro tra familiari, pur in assenza di una norma che vieti esplicitamente al datore di lavoro di assumere un proprio familiare. Addirittura, gli ispettori Inps annullano il rapporto di lavoro anche quando il datore di lavoro è una società, in virtù di una circolare (n. 179/89) che appare più come un pretesto che come una motivazione. Non a caso l'Istituto basa tutto sulla presunzione di gratuità per motivi familiari e affettivi, presunzione di dubbia attualità e certamente non assoluta". "La regola prevista dal nostro ordinamento giuridico, infatti, prevede -aggiungono i consulenti del lavoro- l'onerosità della prestazione e non la gratuità. E spetta agli ispettori dimostrare che il rapporto di lavoro tra familiari non esiste o è svolto a titolo gratuito ovvero che il datore di lavoro non esercita i suoi poteri nei confronti del dipendente-familiare. Dunque, una presunzione di inesistenza del rapporto anacronistica e che finora ha fatto scaturire un fiorente contenzioso, che porta poi a decisioni della Suprema Corte come quella in commento. Va sottolineato, peraltro, che il ministero del Lavoro prima e l'ispettorato nazionale del Lavoro ora hanno espresso posizioni non in linea con l'Istituto previdenziale (circolare M.L. n. 10478 del 2013)".