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Romani: "Non abbandoniamo chi è in crisi"

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"Aiuti diretti e meno burocrazia": così il ministro Romani pensa di far ripartire le imprese in panne

domenico d'alessandro
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Chi lo ha sentito parlare a una platea di imprenditori, a Erba, a una serata organizzata dalla fondazione di Maurizio Lupi “Costruiamo il futuro”,  lo ha sentito definire «brianzola»  la sua gestione del ministero dello Sviluppo Economico. Nel miglior senso della parola, ovvero di «spirito imprenditoriale», «pronta a rimettere in moto il meccanismo con questo stile e con questa voglia, se il 14 dicembre non accadrà qualcosa di drammatico». Paolo Romani, da due anni allo Sviluppo Economico se si calcola anche il periodo trascorso come “vice”, parla così del suo lavoro al ministero. Con lui Libero ha cercato di capire come far fronte ai problemi anche occupazionali delle imprese. E il ministro è partito dagli esempi. Ministro, come si interviene nelle crisi aziendali? C'è una ricetta più giusta di altre? «Le faccio l'esempio di Termini Imerese, un caso classico di riconversione della produzione industriale. Ieri abbiamo iniziato con Raffaele Lombardo ad analizzare due dei sette progetti selezionati dalla short list dall'advisor Invitalia per la riconversione dello stabilimento di Fiat. Subito dopo gli incontri ho appreso di polemiche da parte dei sindacati, che si chiedevano come mai non fossero stati coinvolti. Voglio rassicurarli: lo saranno, ma questa è ancora una fase di approfondimento. Il secondo esempio è quello dell'Isola dei Cassaintegrati, l'Isola sarda dell'Asinara. Sono andato a incontrare in modo riservato i lavoratori, senza troppo clamore mediatico. Perché su questioni così importanti non ci interessa la pubblicità a buon mercato quanto invece il trovare soluzioni. Così si risolvono le crisi e in questo momento ci sono 170 tavoli aperti e 92 amministrazioni straordinarie. Vogliamo essere vicini ad operai e famiglie incolpevoli per le crisi delle aziende. Che siano soluzioni di chiusura con riassorbimento della manodopera sul territorio, come nel caso di Indesit a Brembate, o che si arrivi alla vendita tout court della capacità industriale. Più in generale, penso che il governo stia facendo bene. Al di là dell'intemperanza di qualche parlamentare sono molto sereno sul futuro del Paese anche dopo il 14 dicembre». Quindi se arriva la crisi poi arriva lo Stato e mette tutto in ordine? «Vede, in primis c'è da dire che lo stato del nostro Paese non è solo determinato dal governo, a tutti i livelli, e da quelli che lo gestiscono. È determinato invece da milioni di aziende individuali, da ciò che ciascuno di noi fa. Non è la società a dover supplire le carenze dello Stato, certo, ma l'iniziativa delle persone e il loro impegno a costruire viene prima dello Stato. La politica deve riconoscere, valorizzare e sostenere quello che nella società nasce e cresce. Il governo fa anche “moral suasion”, quindi, verso i network industriali e bancari, soprattutto quando questi ultimi non sono molto generosi. Dico sempre che abbiamo bisogno degli imprenditori per ottenere la crescita economica: chi innova e affronta con coraggio i nuovi mercati crea ricchezza». Piccole e medie imprese, quindi, in prima linea? «Certo. In passato sono state troppo spesso dimenticate. Ma vanno sostenute, sono il 99,8 per cento delle imprese italiane, il 73 per centro del nostro Prodotto interno lordo.  Per questo il primo punto non deve essere la riduzione della pressione fiscale – pur importante e giustamente problema sentito dagli imprenditori – quanto altre politiche che solo la parte pubblica può fare. Dalla semplificazione e dalla riduzione della burocrazia, quindi, al sostegno all'innovazione; da un aiuto all'internazionalizzazione al sostegno alle reti d'impresa». Quali misure vanno nella direzione di uno sviluppo economico? «La legge di stabilità è stata approvata, nel testo c'è il finanziamento aggiuntivo destinato agli ammortizzatori sociali, con particolare riferimento alla cassa integrazione in deroga. Il sistema produttivo nel suo complesso beneficia poi della proroga della detassazione ed è innalzato da 35mila a 40mila euro il limite di reddito di lavoro dipendente utile per fruire dell'agevolazione. Raffaello Vignali, poi, ha messo a punto un testo di legge che rappresenterà la prima delle leggi annuali per le Pmi previste dallo Small Business Act della Commissione Ue, e cioè un vero e proprio Statuto delle imprese». Già, ma cosa chiedono le imprese? Di che cosa hanno davvero bisogno? «In Italia non c'è solo l'oppressione fiscale ma anche quella burocratica. Abbiamo troppe leggi, troppe autorità che rilasciano permessi e autorizzazioni. È un paradosso per il paese che registra il più alto tasso imprenditoriale del mondo. Questo governo ha promosso un grande sforzo di semplificazione, ma non  basta ancora. La burocrazia troppo spesso inefficiente e dai tempi indefiniti blocca la crescita ed è il principale ostacolo agli investimenti. L'iter di legge sostenuto dal mio ministero e firmato dall'onorevole Vignali è per questo  molto importante. Stiamo poi lavorando a una Carta dei servizi che indichi i tempi esatti di ogni autorizzazione e su questi faremo la valutazione dei dirigenti: non serve fare bella figura con il ministro ma con le imprese. In questa direzione va anche la riforma degli incentivi». Giulia Cazzaniga

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