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Giampaolo Pansa: Santoro, Floris, Giannini, i talk show sono in crisi perché puzzano di Casta

Giulio Bucchi
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Ma è proprio vero che i talk show televisivi stanno per morire? In proposito ho dei dubbi. Di certo sono in crisi nera, perdono battaglioni di spettatori, gli ascolti si stanno riducendo e di conseguenza cala la pubblicità incassata dai padroni delle emittenti. Immagino la disperazione di Urbano Cairo, il proprietario della Sette, che non può contare sul canone che paghiamo alla Rai. Prima o poi, per tappare i buchi del suo bilancio sarà costretto a vendere quel che resta della squadra di calcio del Torino. Tuttavia anche per la tivù del povero Cairo una via d'uscita per evitare la bancarotta esiste. Ed è quella di cambiare in modo radicale i protagonisti dei talk show. Passando dai vip della politica ai poveracci vittime impotenti della Casta super-potente. Penso di averlo intuito ascoltando in questi ultimi giorni due programmi di approfondimento, per usare un'espressione burocratica sempre più trita e ritrita. “Virus”, la trasmissione di Nicola Porro, vice direttore del Giornale, in onda sulla Rete Due della Rai, ha costruito la puntata su una signora sconosciuta al pubblico. Era una ex contabile della Cgil di Messina che ha messo in piazza le porcherie del suo sindacato. Pagamenti in nero, rendiconti di spese fasulli, bilanci per lo meno dubbi. Il tutto sotto lo sguardo divertito di uno degli ospiti, Maurizio Belpietro, il direttore di Libero, e le occhiate sbalordite di un deputato della sinistra Pd, Stefano Fassina. Per non parlare di un altro big collegato dall'esterno: Sergio Cofferati, già segretario generale della Cgil, ammutolito dalla quantità di robacce che la contabile stava rivelando. Morale della favola, negli ascolti “Virus” ha battuto “Servizio pubblico” di Michele Santoro, un miracolo che neanche la madonna di Fatima avrebbe potuto fare. Il secondo miracolo è accaduto il giorno successivo, questa volta sul telegiornale di Sky. Nel salotto di Paola Saluzzi abbiamo visto un altro sconosciuto. Un impiegato o un funzionario del Partito democratico, licenziato in tronco perché anche la parrocchia guidata da Matteo Renzi non ha più un soldo e deve disfarsi di parecchia gente. Il licenziato parlava sotto l'insegna di quella puntata: “Tra privilegi e vantaggi. Viaggio nel lato oscuro di partiti e sindacati”. In realtà, più che parlare, l'ospite si disperava, gridava, piangeva. Mostrando la sentenza di un tribunale che gli dava ragione per essere stato messo fuori senza neppure ricevere la liquidazione dovuta. Ridotto da un giorno all'altro in un disoccupato cacciato a calci nel sedere. E proprio dal partito che strilla di difendere i diritti di chi lavora. Hanno provato a contraddirlo due parlamentari democratici, ma senza riuscirci. Costretti a fare la parte dei cioccolatai dall'impudenza suprema. Che cosa avevano in comune i protagonisti di “Virus” e del salotto governato dalla Saluzzi, una ragazza infaticabile che a naso direi di centrodestra? Era la sacrosanta cattiveria di chi si sente vittima di un sopruso. Ed essendo infuriati, imbufaliti e ringhianti per mille sacrosanti motivi, bucavano il video. Imponendosi all'attenzione pure di chi, come il sottoscritto, da un pezzo non guarda più la maggior parte dei talk show. Per quale ragione scappo, come stanno facendo altri milioni di spettatori? Proprio perché gli ospiti arruolati dagli autori e dai conduttori sono l'opposto della contabile cacciata dalla Cgil e dell'impiegato messo fuori dal Pd. Nessuno di loro ha un millesimo della rabbia di chi deve denunciare un'ingiustizia patita o sostenere uno scontro che merita di essere affrontato. Di solito sono politici o giornalisti che si sentono gratificati dalla circostanza di apparire in tivù, un sfizio ridicolo da provinciali. E si guardano bene dal fomentare lo scompiglio indispensabile a qualsiasi talk show. I peggiori sono i politici. Sanno di essere invisi dalla gente con un'intensità sconosciuta sino a qualche anno fa. Quale rabbia devo aspettarmi da personaggi che ingombrano tutte le trasmissioni, passando da una giostra all'altra, spesso nel giro di poche ore? Un tempo era questa la specialità della mitica Rosy Bindi, che nella stessa serata correva ad almeno due talk show. Ma la Rosy contava ancora qualcosa. Oggi quanto conta un deputato renziano come il palermitano Davide Faraone? Oppure l'onnipresente Renata Polverini, ex governatore di centrodestra del Lazio? Il suo caso dovrebbe essere studiato dai massmediologi. Quando faceva la segretaria dell'Ugl, il sindacato di destra, non era nessuno. A elevarla al rango di celebrità televisiva fu Giovanni Floris. Ogni settimana la invitava nel suo “Ballarò”. E dal nulla l'ha portata sino alla presidenza della Regione Lazio. Perché il Floris aveva tanti riguardi per madama Polverini? Qualche cronista malizioso si è domandato se il celebre Giova fosse stato preso da un'insana passione per la signora. Ma quella dell'attrazione sessuale era una pista sbagliata. La verità era molto più banale. Salvo qualche eccezione, i conduttori dei talk show hanno due difetti esiziali. Il primo è che sono malati di faziosità politica. Il secondo è che non vogliono grane con i padroni del vapore televisivo, pubblici o privati che siano. Il risultato è una pappa molliccia e soporifera, indigeribile di mattina come di sera. Un tempo non era così. E adesso racconterò una storia che in parte mi riguarda. Era il 4 novembre 1993, sull'Italia soffiava ancora il vento impetuoso di Mani pulite. Michele Santoro aveva invitato a “Samarcanda” due giornalisti: il sottoscritto e Giuliano Ferrara, in quel momento deputato europeo del Psi. Stavamo parlando di tangenti. E sotto il tiro di Ferrara c'era, collegato da Ivrea, Corrado Passera, l'amministratore delegato dell'Olivetti, intervistato da Bianca Berlinguer. Ferrara gli rinfacciò una colpa che non ricordo, ma che riguardava le mazzette pagate dall'ingegner Carlo De Benedetti per poter piazzare la propria merce. L'asprezza verbale di Giuliano mi indispettì. E poiché mi sembrava che la reazione di Passera fosse troppo mite, per amicizia verso Corrado gli replicai io. Dicendo a Ferrara che anche la sua campagna elettorale per le europee forse era stata pagata con un mazzettone incassato dal Psi di Bettino Craxi. La reazione di Giuliano fu quella di un vulcano che di colpo erutta fuoco e lava rovente. Un fatto mai visto in un talk show. Urlò a Santoro che doveva togliere dal video la dicitura “Collegamento con Ivrea” e sostituirla con la scritta “Messaggio promozionale dell'Olivetti”. Poi se la prese con me, coprendomi di insulti. Gridò che ero un portavoce dell'Ingegnere, il suo servitorello, un sorcetto che trasformava lo studio televisivo in una fogna. Giurò di prendermi a schiaffi e poi di querelarmi affinché venissi condannato. Per un pelo non arrivammo allo scontro fisico. Ferrara era in preda a una furia incontenibile. In seguito mi mandò davvero sotto processo. Ma l'anno successivo, diventato ministro per i rapporti con il Parlamento nel primo governo Berlusconi, ritirò tutte le querele, compresa quella riservata a me. Santoro ci aveva osservato impassibile, senza aprir bocca. Da furbo uomo di spettacolo, prevedeva che quella puntata di “Samarcanda” si sarebbe rivelata un successo formidabile. Infatti l'ascolto superò i sei milioni di spettatori. Giovedì scorso, il “Servizio pubblico” santoriano è stato visto da appena un milione e duecentomila persone. La crisi mortale dei talk show sta tutta in queste due cifre.  di Giampaolo Pansa

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