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L'Europa: senza Facebook

si rimane isolati. Ma è vero?

Dario Mazzocchi
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Secondo l'Unione europea, i cittadini che non usano i social network o non sanno che farsene dei nuovi prodotti digitali come la televisione, rischiano di rimanere tagliati fuori dal mondo che conta. Eppure, da uno dei Paesi dove prodotti come Facebook o Twitter sono largamenti diffusi, la Gran Bretagna, arriva un parere discordante: non è assolutamente vero, anzi i social network hanno mancato di gran lunga il loro obiettivo. Il commissario europeo - La prima teoria è sostenuta da Viviane Reding, commissario europeo responsabile per la Società dell'informazione – sì, evidentemente a Bruxelles esiste anche una carica di questo tipo –, che in un appello ha lanciato l'allarme: “Le persone che non possono usare i nuovi media come le reti sociali o la televisione digitale, avranno difficoltà ad interagire con il mondo che li circonda e a prendervi parte”. Nel sottolineare come “il 24% dei cittadini europei senza internet a casa afferma di non averlo per mancanza delle capacità necessarie per usarlo”, la Reding ha ricordato che occorre “fare in modo che tutti siano educati ai media, così che nessuno sia escluso”. “Ci si rivolge sempre più ai cittadini, ma loro sono in grado di rispondere?”, si è chiesta il commissario europeo. Lo scetticismo del Telegraph - Una nuova via verso la democrazia da sostenere e promuovere: è dunque questa l'opinione dell'Europa riguardo ai nuovi media. Falso, ribatte Matt Warman, giornalista del britannico Daily Telegraph: la rivoluzione dei social network si sta smarrendo nel deserto, per quanti siano nessuno ha raccolto l'intero potenziale a disposizione. Meebo, MySpace, Facebook e Twitter: tanto fumo, poco arrosto. Non solo: i grattacapi con il tempo sono venuti al pettine. Il cronista inglese riporta all'attenzione del lettore l'ultimo caso di una dipendente licenziata dalla ditta presso la quale lavorava perché su Facebook aveva postato commenti negativi sul boss. “Consideriamo l'ipotesi che Lindasy (il nome dell'impiegata, ndr) si fosse rivolta direttamente al dipartimento Risorse umane della società”, scrive Warman: in quel caso, il problema sollevato sarebbe stato preso almeno in considerazione. Invece, postando sulla piattaforma, è finita per essere licenziata, avendo reso pubbliche la accuse mentre si trovava addirittura in un periodo di prova. Parole a vuoto e pubbliche accuse - Pure Twitter ha fallito: il tanto clamore degli aggiornamenti in diretta dall'Iran, come volevasi dimostrare, si è spento con il passare dei giorni e non ha mobilitato le diplomazie internazionali perché si arrivasse ad una soluzione democratica, quella di cui i social network si sarebbero dovuti fare portavoce. A ciò si aggiunge il fatto che è stato accertato che il 40% dei messaggi scritti dagli utenti non hanno senso, cadono nel vuoto, meglio sarebbe stato non aver sprecato tempo inutile. Al punto che i due terzi di chi si è iscritto, abbandonano il servizio nell'arco di un mese, anche per il numero limitato di battute concesse dal sistema. Chi dei due ha ragione? Il commissario europeo Viviane Reding o il giornalista del Daily Telegraph? Magari la verità sta nel mezzo: i social network non faranno mai una rivoluzione dal basso, ma aprono nuove vie di comunicazione. La vera e sola lezione appresa sino ad oggi rimane quella per cui non è il caso di mettere sulla pubblica piazza le lamentele di lavoro: maglio un incontro a quattr'occhi o la lettera di licenziamento starà ad aspettarci dietro l'angolo.

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