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I kamikaze della crisi

Editoriale di Belpietro del 5 agosto 2011: L'urto della speculazione manda ko tutte le Borse

Nicoletta Orlandi Posti
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La tempesta perfetta sui mercati finanziari è arrivata. Ma la sinistra non ha potuto gridare contro Silvio Berlusconi, accusato l'altro ieri alla Camera di trascinare al ribasso la Borsa italiana. Sì, Piazza Affari ha chiuso a -5,1% con il giallo del guasto che ha paralizzato l'aggiornamento delle contrattazioni, però la pioggia di vendite ha colpito tutti i listini: dalla potente Francoforte fino alla mitica Wall Street. Tutti in picchiata. Titoli sospesi, panico nelle sale operative, grande preoccupazione per il futuro, ma nessun crollo legato al discorso del Cavaliere. Solo uno sciocco poteva pensare il contrario, perché è vero che l'Italia non se la passa bene, che i suoi titoli di Stato sono sotto pressione e che gli interessi da pagare (oltre il 6% sui Btp) costringeranno il governo a tirare la cinghia ancora di più.  Tuttavia il problema, come ha certificato ieri Jean Claude Trichet, presidente della Banca Centrale Europea, è la ripresa: «Negli ultimi mesi la crescita economica dell'area euro ha rallentato e dovrebbe restare modesta anche nell'immediato futuro». Insomma, sono guai per tutti. Pure per i virtuosi tedeschi e i cugini francesi. Ma anche nel lontano Oriente o nella vicina Svizzera sono inquieti per la piega che sta prendendo il rallentamento dell'economia. «La Banca Centrale svizzera ha azzerato i tassi d'interesse, quella del Giappone ha dato liquidità illimitata: i problemi non sono europei, sono globali», è il pensiero di Giulio Tremonti. E a chi accusa il governo di non fare niente contro le scommesse sui titoli di Stato il ministro risponde che «oggi il 45 per cento del Pil europeo ha spread che non rispondono a fondamentali economici». E così siamo in mano agli speculatori, che tre anni fa scommettevano contro le banche, cambiando preda da una settimana all'altra. Un giochetto che ha mandato gambe all'aria Lehman Brothers, scatenando una crisi di fiducia in tutto il mondo del credito. Ricordate? Gli istituti avevano paura a prestarsi i soldi perché temevano altri crac. Sono dovuti intervenire gli Stati a colpi di centinaia di miliardi per salvare i mercati. Forse non si poteva fare diversamente, visto che la finanza è ormai entrata nella vita quotidiana: dai mutui ai fidi, dal prezzo della benzina a quello del frumento. Bene, sono passati tre anni e la situazione si è capovolta: ora sono gli istituti bancari che soffrono per la debolezza degli Stati, oberati da debiti - chi più, chi meno - che nessuno sa con certezza come pagare. Ecco perché gli investitori puntano sui titoli di Stato dei Paesi più a rischio, almeno sulla carta. Per fare un esempio, i buoni del Tesoro greci ormai rendono il 17% contro un 2,5% dei famigerati Bund tedeschi. Atene ha falsificato i numeri e ha vissuto per troppi anni sopra le proprie possibilità, per cui è giusto che ora paghi per gli errori del passato. Ma perché i capi di Stato dell'Europa e la Bce ci hanno messo quasi due anni per prendere una decisione sul salvataggio dell'economia ellenica? Semplice, perché nonostante tre anni di buone intenzioni e grandi discussioni non si è arrivati a capo di niente. La Merkel non voleva scucire euro per i fratelli poveri del Vecchio Continente, stessa linea per Sarkozy. Neanche l'esplosione dei guai in Spagna, Irlanda e Portogallo ha dato una sveglia ai potenti europei. Solo pochi mesi fa i premier dell'Eurozona hanno trovato un'intesa, ma sul più bello è stata la Bce a tirarsi indietro. Abbiamo perso altro tempo, senza che la Commissione Europea toccasse palla, col risultato che la Grecia ora sarà salvata per finta, perché ormai è in default tecnico.  Vogliamo poi parlare degli Stati Uniti? Solo pochi giorni fa Democratici e Repubblicani hanno giocato sulle spalle degli americani: in zona Cesarini hanno detto sì all'aumento del debito Usa, che viaggia oltre i 14mila miliardi di dollari anche per colpa della riforma sanitaria voluta da Barack Obama.  Sembra di avere a che fare con dei kamikaze. Si parla tanto di responsabilità, ma alle parole non seguono i fatti. Ieri Trichet ha fatto sapere che continuerà a iniettare liquidità sul mercato, quindi in favore delle banche, e che sosterrà i titoli di Stato in difficoltà, Portogallo e Irlanda in primis. E l'Italia? Con noi il presidente uscente della Banca Centrale Europea non è stato proprio tenero: dovremo cavarcela da soli. «Quello che serve all'Italia è certamente ridurre la spesa pubblica e raggiungere i suoi obiettivi di deficit, occorre anticipare i tempi del risanamento fiscale». Certo, però non si capisce perché la Bce non possa acquistare i Btp, che anche ieri sono schizzati fino al record di 393 punti base di differenza rispetto al Bund teutonico.  La situazione è delicata, ma l'Italia non è quel morto che cammina che descriveva Bersani alla Camera. Nel Belpaese «le risorse umane sono estremamente buone e c'è uno spirito d'impresa vivo e dinamico» e queste non sono parole del Cavaliere, ma dello stesso Trichet. Ha ragione, «ci sono ostacoli strutturali che bisogna eliminare» e infatti la riunione di ieri con le parti sociali al completo era mirata proprio a ottimizzare le risorse e accelerare sui tempi della ripresa. Certo che se Susanna Camusso non capito che sta ballando sul Titanic è difficile cambiare marcia al Paese. Le sue dichiarazioni di guerra al governo ci riportano indietro, invece che avanti. Forse alla leader della Cgil non pare vero che il premier sia disponibile a trattare? Si mettano il cuore in pace lei, Bersani, Vendola e Di Pietro: tifavano per il crollo dei mercati per poter buttare giù il Cavaliere, ma hanno scoperto che la crisi è globale e che non sono gli unici kamikaze al mondo. di Maurizio Belpietro

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