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Il cervello più evoluto è quello più lento

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Uno studio internazionale dimostra l'associazione lentezza-complessità

Monica Rizzello
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Sarebbe un elogio della lentezza il risultato a cui sono arrivati neuroscienziati di diversi Paesi, fra cui l'Italia, studiando la comunicazione tra i due emisferi del cervello, in specie animali diverse (macaco, scimpanzè e Uomo) e fra aree diverse del cervello dello stesso primate con compiti via via più complessi. Lo studio, appena pubblicato sulla rivista americana Proceedings of the National Accademy of Science (Pnas), apre la strada a teorie in senso opposto a uno dei dogmi della tecnologia dell'informazione, quello secondo cui l'evoluzione degli strumenti va di pari passo con la velocità di processo delle informazioni. A firmare l'articolo sono Roberto Caminiti, del dipartimento di Fisiologia e Farmacologia, della Sapienza di Roma, nei cui laboratori si è svolta gran parte degli esperimenti, Hassan Ghaziri, dell'Istituto di tecnologia svizzero a Losanna, Ralf Galuske, dell'Università di Darmstadt, Patrick Hof, del dipartimento di neuroscienze della Mount Sinai School of Medicine di New York, e Giorgio Innocenti, del dipartimento di neuroscienze del Karolinska Institutet di Stoccolma. In ognuna delle tre specie di primati considerati, i due emisferi comunicano tra loro attraverso fibre nervose di differente diametro e lunghezza, quindi con velocità e tempi di trasferimento delle informazioni diversi: più grosse e corte sono le fibre, più veloce è la conduzione delle informazioni; al contrario fibre sottili e lunghe nel corpo calloso comportano tempi di trasmissione più lenti. «Le maggiori dimensioni del cervello dell'Uomo, la sua asimmetria anatomica e la lateralizzazione delle funzioni suggeriscono che le connessioni fra gli emisferi siano state sottoposte a una riorganizzazione sostanziale durante l'evoluzione dei primati. I tempi delle interazioni fra i due emisferi, sono probabilmente un vincolo di importanza cruciale di questa riorganizzazione», si legge nell'articolo. Con l'aumento delle dimensioni del cervello, dallo scimpanzè all'Uomo, però non avviene l'attesa crescita delle dimensioni del diametro delle fibre per la comunicazione fra le diverse aree dei due emisferi (come avviene invece nel passaggio evolutivo precedente, fra macaco e scimpantzè, ed è lecito supporre, nei passaggi evolutivi precedenti). A sorpresa, l'Uomo moderno mantiene connessioni tra gli emisferi cerebrali appropriate per un cervello delle dimensioni di un nostro lontano antenato, l'Austrolopitecus: «ciò significa che nel processo evolutivo attraverso le specie, c'è stata una significativa dispersione temporale nella trasmissione delle informazioni tra i due emisferi, con la prevalenza di un meccanismo basato sul trasferimento lento dei segnali nervosi, piuttosto che sulla massima velocità possibile», spiega Caminiti. A confermare l'ipotesi che associa velocità ridotta a complessità delle funzioni, vi è la misura di fibre di diametro ridotto (e quindi velocità ridotte di trasmissione, dato la lunghezza diversa non è sufficiente a compensare il ritardo), in uno stesso primate, ma al variare delle aree del cervello messe in comunicazione: più sono complesse le funzioni associate alle diverse aree, più le fibre sono strette e la comunicazione lenta. «Abbiamo studiato le potenziali implicazioni di questa osservazione attraverso la simulazione del comportamento di una rete di neuroni situati nei due emisferi cerebrali. E abbiamo visto che gli aspetti temporali del trasferimento delle informazioni influenzano la frequenza delle oscillazioni che gli emisferi cerebrali usano per le loro interazioni», sottolinea Caminiti riferendosi a quello che viene considerato come un possibile elemento cruciale, per consentire lo sviluppo di funzioni superiori, una sorta di coordinamento dell'attività neuronale fra diverse aree con funzioni diverse.

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