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Quattrocchi non era un mercenario

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A cinque anni dalla morte in Iraq, la sentenza del pm

Maria Acqua Simi
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Infine, ecco la parola del giudice. Che ha dichiarato che Paolo Simeone e Valeria Castellani, fondatori della società di security Dts, non erano mercenari nè hanno reclutato nel 2004 in Iraq Fabrizio Quattrocchi (sequestrato e ucciso da alcuni ribelli iracheni) e alcuni loro connazionali. Motivazione? La «rudimentale organizzazione di armi e mezzi» che essi hanno messo su «non è da sola sufficiente a connotare» una «attività che nelle intenzioni e nei fatti si ritiene avere a stento raggiunto il carattere di una poco efficiente agenzia di sicurezza privata». Così scrive il pm di Genova, Francesca Nanni, nella richiesta di archiviazione (accolta nel dicembre 2009 dal gip) per Simeone, Castellani e per Davide Giordano, collaboratore di un'agenzia di security. Il provvedimento è da oggi agli atti della Corte d'assise di Bari che lo ha acquisito nel corso del processo a Salvatore Stefio e Giampiero Spinelli, accusati di aver reclutato Didri Forese e gli ex ostaggi italiani Umberto Cupertino e Maurizio Agliana. Questi ultimi due, assieme a Stefio e a Fabrizio Quattrocchi, furono catturati in Iraq il 12 aprile 2004 e liberati dopo 56 giorni. Quattrocchi fu invece ucciso.  "Vi faccio vedere come muore in italiano", furono le sue ultime parole.  Scossero tutti. In Italia non si parlò d'altro per mesi, e ancora, quelle parole suscitano una ridda di emozioni contrastanti. Per Stefio e Spinelli, contrariamente alle conclusioni a cui è giunta la magistratura genovese, la procura di Bari è riuscita ad ottenere il processo per "Arruolamento o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero" (art.288 del Codice penale). Reato questo che per la procura ligure non sussiste perchè «al di là di alcune roboanti espressioni di potenza manifestate dai singoli (sempre e comunque in contesti autocelebrativi e 'tranquillì)», l'organizzazione «nei fatti ha dimostrato tutta la sua intrinseca debolezza». Secondo il pm genovese, sia l'attività prospettata sia quella effettivamente svolta dagli indagati non integra «gli estremi della 'militanzà» previsti dall'art.288 che prevede condanne a pene comprese tra i quattro e i 15 anni di reclusione per contrastare l'arruolamento dei mercenari. Dove per mercenario - scrive il pm - si intende (art.3 della legge 210/95 che ha ratificato la Convenzione Onu contro il reclutamento dei mercenari) «colui che, dietro compenso economico o altre utilità o comunque avendone accettato la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio comunque controllato da uno Stato estero o partecipa ad un'azione preordinata e violenta diretta a mutare l'ordine costituzionale o a violare l'integrità territoriale di uno Stato estero». «Comportamenti - aggiunge il pm Nanni - non presi in considerazione dagli indagati che pensavano ad un servizio di vigilanza di persone e/o a corsi di formazione a favore dei locali». Secondo l'accusa, inoltre, il concetto di militanza citato dall'art.288 «deve far riferimento allo stesso tipo di comportamento» censurato dalla Convenzione Onu: «in caso contrario - spiega - potrebbero diventare perseguibili» anche «le attività di imprese italiane che decidano di organizzare in Italia i servizi di sicurezza per i loro impianti o i loro tecnici all'estero». Simeone e Castellani erano accusati di aver arruolato, tramite Giordano, gli italiani Quattrocchi, Alessandro Favetti e Luigi Valle per far loro svolgere attività - si legge nelle mail che gli ex indagati inviarono ai loro interlocutori - di 'informazione e addestramento della polizia localè, 'servizi di vigilanza personale nei confronti di uomini d'affari e rappresentanti delle autorità locali o italianè e 'supervisione e controllo personale nei servizi di vigilanza a oleodotti e linee elettrichè. In sostanza - rileva il magistrato - Simeone alla fine fece svolgere ad alcuni suoi 'reclutatì un servizio di vigilanza ai piani nell'hotel Babylon di Baghdad in favore di alcuni civili americani. Attività questa emersa pacificamente nel corso del processo in corso dinanzi alla Corte d'assise di Bari dove l'accusa ritiene però che per il solo fatto che gli imputati abbiano ingaggiato italiani (con accordo verbale raggiunto in Italia) da impiegare in servizi di vigilanza armati in hotel implica il reato contestato, che punisce l'organizzazione anche dei servizi di scorta e di vigilanza negli Stati in cui l'Italia ha in corso interventi militari, anche di peacekeeping. In Iraq, per di più, come ha confermato oggi nella sua deposizione l'ex vice comandante del Corpo multinazionale in Iraq, gen.Mario Marioli, inizialmente si «applicava ai militari italiani il Codice penale militare di guerra»

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